Vincolo quinquennale dei docenti assunti da settembre 2019: va impugnato al Tribunale, non al Tar

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Un notevole numero di docenti si è rivolto al giudice amministrativo (Tar Lazio, Sezione III Bis, Sentenza 30 giugno 2020, n. 3653), impugnando il decreto n. 182 del 23 marzo 2020, recante la disciplina della mobilità del personale docente, educativo ed A.T.A. per l’a.s. 2020/21, nella parte in cui esclude, in quanto sottoposti a vincolo di permanenza quinquennale, i docenti immessi in ruolo dal 1 settembre 2019. Il TAR non ha potuto pronunciarsi: la questione verte nell’ambito della gestione del rapporto di lavoro pubblico, devoluta alla giurisdizione non del giudice amministrativo bensì a quella del giudice ordinario (Tribunale in funzione di giudice del lavoro). I docenti dovranno quindi presentare ricorso, entro 3 mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia resa dal Tar, alla Sezione Lavoro del Tribunale.

I fatti

Un gran numero di docenti ha adito il Tar per l’annullamento del Decreto del Ministero dell’Istruzione n. 182 del 23 marzo 2020, recante la disciplina della mobilità del personale docente, educativo ed A.T.A., per l’anno scolastico 2020/21.

Il vincolo di permanenza quinquennale

In particolare, l’articolo 1 individua i docenti che possono partecipare alla procedura di mobilità, escludendo, in quanto sottoposti a vincolo di permanenza quinquennale, i docenti immessi in ruolo dal 1° settembre 2019 ed assunti dalle graduatorie regionali del concorso scuola D.D.G. 85/2018: “3. Il personale docente che si trova nelle condizioni di cui all’articolo 13, comma 3, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, come modificato dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145 art. 1, comma 792, lettera m), 3), è tenuto a rimanere presso l’istituzione scolastica di immissione in ruolo, nel medesimo tipo di posto e classe di concorso, per almeno altri quattro anni, salvo in caso di sovrannumero o esubero o di applicazione dell’articolo 33, commi 5 o 6, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, limitatamente a fatti sopravvenuti successivamente al termine di presentazione delle istanze per il relativo concorso”.

La questione appartiene al Tribunale, non al Tar

Secondo il collegio amministrativo la questione sottoposta verte nell’ambito della gestione del rapporto di lavoro pubblico, pertanto sussiste la giurisdizione non del giudice amministrativo (Tar) bensì quella del giudice ordinario (Tribunale in funzione di giudice del lavoro). Il ricorso è risultato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, rientrando la controversia nell’ambito della gestione del rapporto di lavoro pubblico con conseguente giurisdizione del giudice ordinario.

La privatizzazione del lavoro pubblico

Prima della privatizzazione del pubblico impiego (d.lgs. n. 29/93), tutti gli atti emessi dalla p.a. datrice di lavoro, sia in materia di organizzazione degli uffici sia in tema di gestione del rapporto di lavoro, erano atti amministrativi a tutti gli effetti, essendo all’epoca la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’Amministrazione interamente attratta nell’alveo pubblicistico, con giurisdizione riservata al giudice amministrativo. Dopo la privatizzazione, tuttavia, solo alcuni e peculiari atti emessi dalla p.a. rientranti nella sfera del pubblico impiego hanno mantenuto la natura di provvedimenti amministrativi, come ad esempio, l’eccezione rappresentata dall’art. 63, co. 4 del d. lgs. n. 165/2001 ove prevede che restino “devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”.

I precedenti relativi alla mobilità interna

Il Tar ha già declinato la giurisdizione in favore del giudice ordinario (Sentenza n. 6541/2020) precisando che occorre considerare che la procedura in questione costituisce una procedura di mobilità interna a tutti gli effetti, con la conseguente applicazione della riserva di disciplina alla contrattazione collettiva nei limiti previsti dall’ordinamento giuridico ai sensi dell’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001, il quale precisa che “Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità, la contrattazione collettiva è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge”.

Il procedimento di mobilità

Per l’effetto, è stato escluso che i procedimenti di mobilità, compreso quello di carattere professionale (passaggi di cattedra e di ruolo) siano suscettibili di essere ascritti alla categoria delle procedure concorsuali per l’assunzione, con la conseguenza che la tematica dovrà essere decisa dal Tribunale.

La riassunzione del giudizio

Il giudizio potrà essere riassunto davanti al giudice ordinario nel termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza del Tar, restando salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda già formulata dai ricorrenti.

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