Lavoratori fragili, mascherina chirurgica, termoscanner per misurazione temperatura. Tutte le strategie per contenere il contagio da Covid [INTERVISTA]

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Il tema del lavoratore fragile viene affrontato in diverso modo e con la giusta attenzione. Il tema non si concilia bene con i dati dei contagiati che giornalmente apprendiamo. Manca poco all’inizio dell’anno scolastico e molti sono gli interrogativi.

In base alle indicazioni operative del 21 agosto “fin dall’inizio della pandemia, i dati epidemiologici hanno chiaramente mostrato una maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione in presenza di alcune tipologie di malattie cronico degenerative (ad es. patologie cardiovascolari, respiratorie e dismetaboliche) o in presenza di patologie a carico del sistema immunitario o quelle oncologiche (indipendentemente dall’età) che, in caso di comorbilità con l’infezione da SARS-CoV-2, possono influenzare negativamente la severità e l’esito della patologia”.

Pertanto, “il concetto di fragilità va dunque individuato nelle condizioni dello stato di salute del lavoratore rispetto alle patologie preesistenti (due o più patologie) che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto, anche rispetto al rischio di esposizione a contagio. In ragione di ciò – e quindi per tali c.d. “lavoratori fragili” – il datore di lavoro assicura la sorveglianza sanitaria eccezionale, a richiesta del lavoratore interessato: a. attraverso il medico competente se già nominato per la sorveglianza sanitaria ex art. 41 del D.Lgs 81/08: b. attraverso un medico competente ad hoc nominato, per il periodo emergenziale, anche, ad esempio, prevedendo di consorziare più istituti scolastici; c. attraverso la richiesta ai servizi territoriali dell’Inail che vi provvedono con propri medici del lavoro”.

Mentre nel documento tecnico dell’INAIL, pubblicato nel mese di aprile, riguardo alla “Sorveglianza sanitaria e tutela dei lavoratori fragili” lo stesso Istituto ebbe già ad evidenziare che “i dati epidemiologici mostrano chiaramente una maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione nonché in presenza di alcune tipologie di malattie cronico degenerative (ad es. patologie cardiovascolari, respiratorie e dismetaboliche) che in caso di comorbilità con l’infezione possono influenzare negativamente la severità e l’esito della patologia. In tale ottica potrebbe essere introdotta la “sorveglianza sanitaria eccezionale” che verrebbe effettuata sui lavoratori con età >55 anni o su lavoratori al di sotto di tale età ma che ritengano di rientrare, per condizioni patologiche, in questa condizione anche attraverso una visita a richiesta. In assenza di copertura immunitaria adeguata (utilizzando test sierologici di accertata validità), si dovrà valutare con attenzione la possibilità di esprimere un giudizio di “inidoneità temporanea” o limitazioni dell’idoneità per un periodo adeguato, con attenta rivalutazione alla scadenza dello stesso”.

Dai due documenti si assiste ad un evidente riferimento all’età anagrafica solamente da parte della INAIL. Nelle indicazioni operative del 21 agosto viene ripreso un passaggio del documento dell’INAIL di aprile ma senza far alcun riferimento a quale fascia di età debba farsi rientrare il lavoratore fragile: “i dati epidemiologici hanno chiaramente mostrato una maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione in presenza di alcune tipologie di malattie cronico degenerative…”. Nel documento tecnico dell’INAIL, invece, oltre a questo passaggio viene esplicitato un concetto essenziale e trascurato dalle indicazioni operative, ossia l’introduzione della fascia di età e, quindi, la “sorveglianza sanitaria eccezionale” che verrebbe effettuata sui lavoratori con età >55 anni o su lavoratori al di sotto di tale età ma che ritengano di rientrare, per condizioni patologiche, in questa condizione anche attraverso una visita a richiesta”.

Insomma, se da una parte il documento tecnico dell’INAIL sostiene che la sorveglianza speciale “verrebbe effettuata sui lavoratori con età >55 anni o su lavoratori al di sotto di tale età …”, dall’altra parte la recente la circolare congiunta dei Ministeri del Lavoro e della Salute sostiene che “non c’è automatismo tra l’età del lavoratore e l’eventuale condizione di fragilità rispetto al Covid. Il solo parametro dell’età non costituisce elemento sufficiente”. Non basta aver superato i 55 anni per sentirsi a rischio e chiedere di essere esentati da alcune attività, ma va chiesta al datore di lavoro «l’attivazione di adeguate misure di sorveglianza sanitaria in ragione dell’esposizione al rischio Covid in presenza di patologie con scarso compenso clinico». Anche la Ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, nel corso dell’intervento su Radio 24 ha ribadito il concetto secondo cui “Chi ha più di 55 anni non è per definizione un lavoratore fragile”.Non basta avere più di 55 anni per essere un lavoratore fragile”. Secondo la Ministra “bisogna avere patologie pregresse di un certo rilievo. C’è una procedura per stabilire se un lavoratore è fragile e se deve essere sottoposto a sorveglianza speciale”.

Insomma, vedute diverse a discapito del lavoratore in un momento particolare, ossia in un decisivo aumento dei contagi.

Su questo argomento ed altri abbiamo voluto ascoltare il Presidente della Fnomceo, la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, dott. Filippo Anelli, già presidente dell’Ordine dei medici di Bari. “Non ci sono ragioni per cui si possano escludere questi lavoratori da una serie di benefici. Quella condizione riconosciuta nella prima parte del Covid può essere tranquillamente riconosciuta oggi nuovamente. Una dimenticanza su cui si dovrà insistere affinchè si trovi un rimedio. Non ho letto da nessuna parte che ci siano motivazioni che portano ad una loro esclusione. Condivido quello che ha dichiarato Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva, secondo cui “si sta creando forti disagi proprio a quella categoria di lavoratori che dovrebbe essere tutelata di più rispetto agli altri perché in condizioni di fragilità”.

Al Presidente Anelli è stato chiesto se fosse una giusta indicazione far misurare la temperatura corporea agli studenti nelle proprie abitazioni, prima di andare a scuola, così come indicato dal CTS che non ha reputato opportuna la rilevazione della temperatura corporea all’ingresso delle scuole né per gli alunni, né per il personale, per evitare assembramenti con rischio contagi. Su questa questione, il dott. Anelli ritiene che “come già sostenuto in altre circostanze, devono essere le scuole a fornirsi di termoscanner per misurare la temperatura”. Mentre, su come combattere gli studenti asintomatici lo stesso Presidente Anelli sostiene che “non è una eccessiva medicalizzazione la soluzione giusta. Credo molto sulla prevenzione, cioè sul fatto che ci sia un adeguato livello di tutela degli alunni che devono rispettare le tre regole auree e cioè portare la mascherina, rispettare il distanziamento sociale ed evitare gli assembramenti. Se uno mette la mascherina la riduzione del rischio di contagio è elevata, cioè si riduce drasticamente la possibilità di prenderla anche attraverso la mascherina”.

Le indicazioni sull’uso della mascherina nella scuola fornite dal CTS – sostiene il Presidente Anelli – sono state fatte in un momento di normalizzazione, in un momento in cui anche la diffusione del virus non sembrava prendere questa impennata. Oggi, di fronte ai dati che sono comunque in aumento, e di fronte al fatto che sono sempre di più gli asintomatici, che saranno quelli che diffonderanno il virus, noi abbiamo imparato dal passato che non portare le mascherine rappresenta un pericolo. Se abbiamo imparato questo insegnamento mettiamolo in atto. Portare le mascherine serve a ridurre la possibilità di diffondere il virus”. E riguardo all’uso delle mascherine in classe, il dott. Anelli ritiene consigliabile che “in una situazione in cui i casi aumentano è opportuno che si dia questa indicazione, ossia di utilizzare la mascherina come presidio, anche perché non fa male”. Sul tipo di mascherina da utilizzare da parte degli studenti, il dott. Anelli, come già evidenziato in altra circostanza, consiglia “che gli studenti utilizzassero la mascherina chirurgica anziché quella di stoffa, in quanto è più tollerata rispetto a quella di stoffa. Si può tenere più a lungo. È fatta di strati più sottili e sovrapposti eppoi anche perché da’ un livello di protezione maggiore. La mascherina di stoffa la possiamo portare per strada, nei negozi. Nelle comunità dove la possibilità della diffusione del virus esiste, forse è meglio usare quella chirurgica”.

Con il Presidente della Fnomceo, e quindi sull’utilizzo della mascherina, è stata affrontata anche la difficoltà degli studenti non udenti di leggere il labiale del proprio interlocutore, ovvero della difficoltà di leggere il labiale del docente, dei compagni, se questi sono con la mascherina. “Questo è un bel problema. Oggi buona parte di queste persone utilizzano gli smartphone e con questi è possibile. Con lo smartphone è possibile trasferire tutto una serie di linguaggi anche in testo. Forse bisognerebbe diffondere queste metodiche, soprattutto per i non udenti, e superano la questione del labiale. Quindi abbiamo uno strumento concreto per cui lo studente legge sullo smartphone quello che viene detto”.

C’è bisogno di approfondire il fenomeno del contagio e il suo impatto nel settore scolastico, al fine di rafforzare tutte le misure necessarie per garantire la tutela della salute e sicurezza di tutti gli studenti e dei lavoratori.

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