Cassazione: assunzione per abuso di contratti a termine, ma non c’è diritto di risarcimento danni

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Continua ad essere dibattuta la questione della risarcibilità dei danni in merito all’abuso dei contratti a termine nel comparto scuola. Una recente sentenza della Cassazione conferma principi oramai che si possono definire saldi in materia che è bene richiamare.

In fatto

Con l’unico motivo di ricorso il MIUR contesta in via prioritaria il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, disposto nei confronti di alcuni docenti nonostante l’avvenuta immissione in ruolo a seguito del piano straordinario di assunzioni predisposto dallo stesso MIUR a partire dall’1 settembre 2015. Per la Cassazione il ricorso deve essere accolto, per le ragioni di seguito esposte. (Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 26-11-2019) 01-06-2020, n. 10413). La questione qui dibattuta è stata esaminata in molteplici decisioni da parte della Corte a partire dalle sentenze n. 22558 e n. 23868 del 2016, ove sono stati affermati principi di diritto – poi richiamati in numerose altre pronunce successive (vedi, fra le tante: Cass. n. 3474, n. 3473, n. 3472 del 2020; Cass. n. 30573, n. 20918, n. 19270 del 2019 e Cass. n. 28635, n. 26356, n. 26353, n. 6323 del 2018) – cui si è pervenuti anche nel caso di cui ora trattasi sulla base delle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia in plurime sentenze in materia.

La stabilizzazione sana l’abuso della reiterazione dei contratti a termine

Affermano convintamente i giudici che “nel settore scolastico, nelle ipotesi di reiterazione illegittima di contratti a termine stipulati su cd. organico di diritto, avveratasi a far data da 10 luglio 2001 e prima dell’entrata in vigore della L. n. 107 del 2015, per i docenti ed il personale ATA deve essere ritenuta misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l’abuso ed a “cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione” la stabilizzazione acquisita attraverso il previgente sistema di reclutamento, fermo restando che l’immissione in ruolo non esclude la proponibilità della domanda di risarcimento per danni ulteriori, con oneri di allegazione e prova a carico del lavoratore che, in tal caso, non beneficia di alcuna agevolazione da danno presunto (vedi, per tutte Cass. n. 16336 del 2017)”.

Invece, rilevano i giudici, che nelle ipotesi di reiterazione dei contratti a termine stipulati ai sensi della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, comma 1, realizzatesi prima dell’entrata in vigore della L. 13 luglio 2015, n. 107, con il personale docente, per la copertura di cattedre a posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, deve essere qualificata misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l’abuso ed a “cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione” la misura della stabilizzazione prevista nella citata L. n. 107 del 2015 ( cit.Cass. n. 3472 del 2020)”.

Gli 8 principi espressi dalla Corte di giustizia UE

“Di recente tali principi sono stati confermati alla luce della sentenza dalla Corte di giustizia UE nella 8 maggio 2019, causa C494/17, Rossato (vedi, in particolare sentenze 12 febbraio 2020, n. 3472 e n. 3473 alle cui motivazioni si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c. In tali sentenze è stato, in sintesi, precisato che:

a) avuto riguardo ai principi affermati dalla Corte di Giustizia nella suindicata sentenza deve essere oggi ribadito (punto 84 della sentenza di questa Corte n. 22552 del 2016) che l’immissione in ruolo scelta dal legislatore italiano del 2015 rappresenta una delle misure alternative, idonee a sanzionare e a cancellare l’illecito comunitario, individuate dalla Corte di Giustizia, che si è compendiato nella indebita reiterazione da parte della P.A. datrice di lavoro di contratti a tempo determinato;

b) vanno richiamate al riguardo richiamate le considerazioni svolte da questa Corte nella citata sentenza n. 22552 del 2016 a proposito del rilievo da attribuire (p. n. 79), con riguardo alle posizioni coinvolte nella disciplina del nuovo regime;

c) come ritenuto nella sentenza di questa Corte n. 22552 del 2016 (pp. nn. 81 e 82) la strada satisfattiva della immissione in ruolo con previsione rigorosa dei tempi, costituisce ad un tempo una sanzione e, dal punto di vista del beneficiario, una riparazione;

e) con riguardo alla repressione dell’abuso e dell’illecito vanno richiamate, ancora una volta le considerazioni già svolte da questa Corte nella sentenza n. 22552 del 2016;

f) va precisato che l’abrogazione della L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 131, disposta dalla D.L. luglio 2018, n. 87, art. 4-bis, comma 1, convertito dalla L. 9 agosto 2018, n. 96, non è applicabile “ratione temporis” alle fattispecie come quella in esame;

g) l’equivalenza e l’effettività dell’immissione in ruolo ottenuta secondo il sistema di avanzamento previsto dalle previgenti regole di reclutamento ovvero in forza del piano straordinario di assunzioni è stato, d’altra parte, riconosciuto anche dalla sentenza della Corte di Giustizia nella sentenza Rossato (pp. nn. 34-37);

h) con riguardo alla conformità alla clausola 4 dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE questa Corte, ritenuta preclusa l’interpretazione conforme, ha affermato che “In tema di riconoscimento dell’anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell’amministrazione scolastica, il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485 deve essere disapplicato, in quanto si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, nei casi in cui l’anzianità risultante dall’applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dall’art. 489 stesso decreto, come integrato dalla L. n. 124 del 1999, art. 11, comma 14, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto “ab origine” a tempo indeterminato”.

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