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La pedagogia steineriana e l’uso della fiaba come strumento di crescita

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Quella steineriana viene anche detta “pedagogia Waldorf”: si tratta di un indirizzo pedagogico nato nel 1919 ad opera del tedesco Rudolf Steiner, il quale fu fondatore di una corrente pedagogica che ancora oggi viene adottata da circa un migliaio di scuole in tutto il mondo (trenta solo in Italia).

Pedagogia Waldorf

Quella steineriana viene anche detta “pedagogia Waldorf”: si tratta di un indirizzo pedagogico nato nel 1919 ad opera del tedesco Rudolf Steiner, il quale fu fondatore di una corrente pedagogica che ancora oggi viene adottata da circa un migliaio di scuole in tutto il mondo (trenta solo in Italia).

L’antroposofia

L’approccio di Steiner puntava molto sul concetto di antroposofia (in greco antico ‘sapienza dell’essere umano’), ovvero una sorta di disciplina esoterica il cui scopo è quello di conciliare elementi del mondo fisico con quello spirituale/immateriale.

Fu proprio per tale concetto che la teoria steineriana ricevette molte critiche: alcune di esse videro in questo modello dei rimandi al mondo delle sette, dal sapore nazional-socialista.

Tuttavia, la pedagogia Waldorf intendeva, in realtà, insegnare a tutti le varie religioni e le più disparate tradizioni dell’uomo- in aperta contrapposizione a quel clima nazista che stava prendendo piede in Germania e nell’intera Europa.

I 3 cicli steineriani

Secondo Steiner, la cui teoria si occupava dell’educazione umana, dalla prima infanzia fino ai diciott’anni, l’individuo attraversa 3 cicli fondamentali:

1- Il primo settennio (0-7 anni), in cui i bimbi prevalentemente imparano imitando il mondo. È per questo che, in questo periodo, l’apprendimento dovrebbe puntare molto sulle immagini (come icone simboliche di una realtà da imitare), per stimolare la capacità di rappresentazione dei bambini.

2- Il secondo ciclo (periodo della scuola primaria e secondaria). È in questo ciclo soprattutto, che viene data molta importanza alle fiabe, soprattutto quelle della tradizione popolare: esse contribuiscono a sviluppare la fantasia del bambino e la comprensione delle proprie emozioni, ma rappresentano anche un simulacro della realtà, e dunque un luogo dove il bambino può immedesimarsi nei personaggi e superare con loro gli ostacoli che potrebbe egli stesso incontrare nel proprio cammino di vita.

3- Il terzo ciclo (che corrisponde al periodo dell’istruzione superiore). Secondo Steiner, in tutti gli stadi (ma soprattutto in questo), bisognerebbe puntare molto a sviluppare le capacità artistiche del discente, nonché quelle pratiche (giardinaggio, cucina, ecc..), perché sviluppano le abilità oculo-manuali e preparano al meglio al percorso professionale. Inoltre, rappresentano un modo per sviluppare intelligenza e sensibilità per la natura: quel che oggi si chiamano “competenze di cittadinanza”, secondo le Linee Guida europee del 2012.

Antropologia evolutiva

Per Steiner, questa divisione in cicli servirebbe come “vademecum” ai docenti che, nei luoghi di formazione, dovrebbero innescare un processo di antropologia evolutiva sui discenti.

Si tratta di un percorso di graduale inserimento dell’alunno nell’ambiente di apprendimento, che tiene conto anche le necessità (e diversità) tra vari cicli – oltre che delle differenze di cultura, religione, abitudini che possono presentarsi in classe. È per questo che Steiner era un grande promotore di quel che oggi viene chiamato story-telling (narrazione): non solo quella delle fiabe, ma in generale dei racconti, poiché questi mettono di fronte a una realtà diversa dalla nostra ma che accomuna tutti coloro che, in quel momento, ascoltano. In quel preciso istante, infatti, tutti gli alunni sono uguali, perché si immedesimano nel protagonista e vivono le sue avventure, assorbendone i valori e le motivazioni di vita intime.

L’importanza del racconto

La fiaba è, dunque, uno strumento per potenziare il processo di antropologia evolutiva – che di per sé avverrebbe già naturalmente, secondo Steiner. Infatti, essa, già dai tempi del linguista russo Propp, viene vista come un simulacro universale della vita, e una metafora della stessa, con cui condivide essenzialmente uno schema a sequenze fisse, che ricordano la nascita, crescita e morte dell’uomo (equilibrio inziale, rottura e complicazioni, peripezie dell’eroe, ristabilimento dell’equilibrio). Tali schematizzazioni proppiane sono state portate avanti fino ai giorni nostri, e ripresi da noti autori (es. Vogler, con il suo libro “Il viaggio dell’eroe”), nonché da psicologi e antropologi come McClelland, il quale asserisce l’importanza della narrazione per la trasmissione dei valori. Alla base dell’educazione steineriana, dunque, c’è l’utilizzo di un fenomeno antropologico – quale è la favola, o il mito, o il racconto in generale – in cui affonda le sue radici persino la psicanalisi di Freud.

Si tratta perciò di uno strumento didattico adatto a qualsiasi età e utile per tirar fuori contenuti inconsci nella platea dei discenti, che in questo modo possono realmente evolversi in senso antropologico: perché si può fare solo essendo scandagliatori del proprio animo.

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