Chiusura scuole superiori, isolamento degli studenti e rischio sindrome di Hikikomori. Cosa si può fare

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Chiusura scuole superiori. Diverse sono le conseguenze sui ragazzi. Tra queste  il rischio di un  isolamento dei nostri ragazzi che li può portare ad uscire dal mondo reale per rifugiarsi in quello virtuale. Siamo di fronte ad un rischio di sindrome Hikikomori. Cosa possono fare le scuole?

Chiusura scuole superiori, gravi le conseguenze sui ragazzi

Chiusura scuole superiori. I ragazzi iniziano a raccontare il loro disagio da privazione della scuola.  E’ un bene! Far uscire fuori un malessere è sempre positivo.
In occasione dell’insolito sciopero contro la scuola virtuale (11 gennaio), i mass media hanno fatto da cassa di risonanza . Molte sono state le dichiarazioni improntate alla rabbia  e scontento che si sono trasformati in una richiesta molto semplice: tornare a scuola in sicurezza!

Ci voleva una pandemia per comprendere il ruolo strategico che svolge la scuola nella costruzione dell’Io adolescenziale che è sempre un Noi, in quanto nello specifico è aperto a una maggiore relazionalità con i pari. Non a caso gli psicologi definiscono questo periodo come caratterizzato dal desiderio di desattellizzarsi dalla famiglia per  cercare nuovi mondi e contesti paralleli . Difficile ora valutare gli effetti di questa privazione sociale che non può essere disgiunta dalla formazione. Interessante questo flash presentato da D. Novara (pedagogista) e pubblicato sul Corriere della Sera di oggi: “La costrizione casalinga riavvolge il nastro della crescita all’indietro, piuttosto che in avanti, creando un inceppamento nelle fasi psico-evolutive che può generare tendenze depressive orientate in particolar modo a indolenza e refrattarietà rispetto ai compiti e alla responsabilità della vita in questo momento specifico della crescita. Si creano quindi le condizioni per comportamenti autolesivi di varia natura, ma anche per comportamenti aggressivi legati a vissuti di rabbia, di frustrazione ingestibile e di assenza di prospettiva in quanto questa situazione sembra non avere un orizzonte di conclusione.

Lo scenario diventa ancora più toccante se si analizza il vissuto reale dei ragazzi, ben sintetizzato da questo resoconto pubblicato da Monzatoday.it” “Voglio avere un compagno di banco! Voglio tornare a studiare e trovarmi con i miei compagni. In questo modo io non riesco a costruire il mio futuro, mi state chiudendo in casa e mi state obbligando a stare dentro a un video. Non lo faccio più! Voglio tornare alla normalità!. Voglio fare a gara per prendere il posto all’ultimo banco, voglio avere freddo in classe, voglio elemosinare la merenda perchè l’ho dimenticata come sempre, voglio non andare in bagno perché la prof non mi fa andare perché deve finire di spiegare! Voglio sentire il professore che mi guarda in faccia e mi spiega e mi rispiega la lezione! Voglio avere l’ansia della verifica perché so che non riuscirò a copiare e si baserà tutto sulle mie capacità!

La sindrome Hikikomori aleggia sul disagio giovanile

La chiusura delle sole scuole superiori significa per molti ragazzi isolamento ansia , malinconia e in alcuni casi depressione. Nel concreto lunghe giornate passate a casa, senza voglia di vestirsi, tanto che qualcuno sta definendo questi ragazzi come la generazione del pigiama. Il contesto ambientale rimanda alla loro camera  dove le persiane non sempre vengono alzate. Da qui il buio o quasi che sicuramente non facilita sentimenti positivi verso la vita, confermati dal tramonto del futuro che è ormai un sentire sociale. “É una depressione silente, asintomatica, senza manifestazioni evidenti perché non vogliono far preoccupare i genitori. Al maschile è concessa una manifestazione del disagio, al femminile no. Le ragazze hanno la tendenza a tenersi tutto dentro“(Monica Letta, psicoterapeuta)

Questo scenario, interrotto dall’impegno ad esserci in Dad (segno della presenza della scuola)  è la condizione migliore per il diffondersi della sindrome Hikikomori. Questa porta ad emigrare da questo mondo per vivere un’altra esistenza a propria immagine e somiglianza, dove ogni problema è appianato e risolto con l’esclusione (banner)  della persona poco gradita o più semplicemente con l’indifferenza. Questo rifugiarsi può rappresentare una sorta di compensazione per una socialità ridotta per via della chiusura delle scuole e di altri divieti (no apericena, cinema, passeggiate in gruppo…)  connessi all’emergenza sanitaria. Del resto l’essere umano non può sfuggire al suo bisogno di socialità (Aristotele). A differenza di quello che pensava Leibnitz le persone non sono “monadi senza finestre”. Queste sono presenti e quando vengono significativamente socchiuse, allora si cercano delle soluzioni alternative che per il ragazzo possono essere i dispositivi elettronici, come il tablet e/o lo smartphone.  Essi sono predisposti a favorire una socialità nel Web 2.0 senza corpo.  Mancando, però  questa prossimità fisica i sentimenti e le emozioni sono mediati da uno schermo, che non facilita sicuramente l’autenticità dei rapporti.

Cosa può fare la scuola? La Dad sociale ed emotiva

Indubbiamente la scuola e nello specifico gli insegnanti possono fare molto, senza dimenticare però che la prima responsabilità educativa spetta alla famiglia  (art. 30 Costituzione). Come scrivevo in un articolo precedente    occorre che la scuola, per la sua parte, riprenda per i capelli i suoi ragazzi. Li recuperi alla realtà, ai rapporti per quanto possibile autentici. Essi rappresentano la ragion d’essere della sua presenza e azione. Un suggerimento: svolgere la Dad ma con la proposta di svolgere molte attività in piccoli gruppi. Stesso discorso vale per i compiti. Il lavoro per piccoli gruppi non è mai una modalità vuota o ridotta a un semplice stare insieme (in questo caso virtuale). Essa favorisce una modalità di apprendimento aumentata, in quanto l’interazione e il confronto favoriscono una più efficace acquisizione delle conoscenze e delle competenze. Senza dimenticare quegli atteggiamenti che fanno da sfondo: la collaborazione, la solidarietà e l’aiuto reciproco. Tutto questo ovviamente è aperto anche alle pause, dove sono possibili battute, brevi interazioni su momenti vissuti nella giornata oppure sfoghi emotivi. Quello che si propone è una Dad sociale, emotiva ben strutturata anche quando l’insegnante è assente.

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