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Il narcisismo, sindrome della società 2.0: come può intervenire la scuola

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Il narcisismo è l’espressione della società post-moderna. I ragazzi non ne sono esenti, anzi spesso sono la migliore testimonianza di questo disagio.. L’interruzione della scuola in presenza o il suo alternarsi, può favorire quello il narcisismo patologico. Gli insegnanti devono riattivare l’intesa, il feeling con la loro vita.

Il narcisismo sindrome della società 2.0

Il narcisismo è una modalità naturale di rapportarsi con gli altri. E’ indispensabile per la costruzione della propria identità, che passa necessariamente per un riconoscimento dei  nostri talenti fisici, cognitivi, sociali ed emotivi. Questa formazione passa attraverso il rispecchiamento narcisistico che inizia fin da piccolissimi nel rapporto madre/figlio. Questo si declina negli apprezzamenti verbali e non (sorrisi, mimica facciale e degli occhi…) del genitore. verso il proprio pupetto.  Questi puzzle-risposte   risultano indispensabili per lo sviluppo della  personalità infantile nei primi anni. In psicologia siamo di fronte a degli imprinting  che sono delle forme di apprendimento precoce che condizionano fortemente lo sviluppo del singolo.
Verso gli 11-12 anni  il preadolescente si desatellizza dalla famiglia affettiva (si punta alla qualità delle relazioni) che ha sostituito quella tradizionale definita etica e normativa.  Il nuovo e principale riferimento diventa il gruppo dei coetanei per la continuazione della costruzione del sé, all’interno sempre del meccanismo del rispecchiamento narcisistico.  Questa relazione tra pari (peer to peer), però sta divenendo sempre meno diretta, in quanto veicolata attraverso lo schermo o il display. Indubbiamente il dispositivo più utilizzato dalla Generazione Z è lo smartphone (nuovo coltellino svizzero 2.0, M. Spitzer), evoluzione del cellulare. Il successo di questo piccolo pc risiede nelle sue caratteristiche: portabilità, estrema facilita dell’uso dei programmi e applicazioni, touch screen, dimensioni ridottissime ed estrema leggerezza, iconizzazione dei messaggi che sostituiscono i testi (dove sono presenti si presentano con il format della sintesi). Ovviamente tutto questo ha delle conseguenze sul pensiero sempre meno sequenziale, basato sulla comunicazione scritta e orale.

La sospensione della scuola in presenza può favorire il narcisismo patologico 

Indubbiamente la pandemia ha accelerato il processo di informatizzazione e di virtualizzazione. Molti aspetti della nostra vita reale sono online (si pensi alla maggiore diffusione dello smart working). Ovviamente la scuola non poteva rimanere estranea a questo processo, favorendo la quasi capillarizzazione della Dad (marzo-giugno). La situazione è indubbiamente migliorata. Il corrente anno scolastico ha visto generalmente solo la scuola secondaria di secondo grado ancora in Dad.  Il punto di svolta è stato  il DPCM del 18 gennaio 2021. Si legge che a decorrere dalla suddetta data  “ almeno al 50 per cento e fino ad una massimo del 75 per cento della popolazione studentesca delle predette istituzioni sia garantita l’attività didattica in presenza. La restante parte dell’attività didattica è svolta tramite il ricorso alla didattica a distanza“.
Gli effetti di questo prolungato isolamento dovranno essere studiati in modo approfondito, partendo però da dati certi. Save the children stima che “34mila studenti delle scuole secondarie di secondo grado potrebbero aggiungersi a fine anno ai dispersi della scuola” . Indubbiamente sono tanti, forse il dato è sottostimato. Comunque si può ipotizzare che questo abbandono, associato anche al maggior tempo a disposizione degli altri possa aver favorito un maggiore ingrottamento dei ragazzi che vivono la loro stanza, come una tana  buia e con indosso il solo pigiama . Per fare cosa? Tuffarsi nel virtuale, nascondendo il  profilo reale e fisico, alterandolo o creandone uno a propria immagine e somiglianza. L’interlocutore è conosciuto attraverso un gioco degli specchi, dove la realtà è sempre una finzione e comunque addomesticata per favorire la sua presentazione iperbolica. Questa è costituita da megalomania finalizzata a ridurre il proprio stato d’ansia e la conseguente inadeguatezza (bassa autostima prodotta da fallimenti, ultimo dei quali l’abbandono scolastico), attraverso i feedback positivi dell’interlocutore. Senza questi il narcisista patologico andrebbe incontro a un crollo psicologico pericoloso.

Cosa può fare la scuola?

Come scriveva D. Milani “Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. É un ospedale che cura i sani e respinge i malati.”. Nello specifico poco si può fare se una classe resta virtualmente presente. Questi ragazzi se tornano in presenza, possono essere recuperati, riattivando il feeling. Il lavoro dell’insegnante, direi il 70% è basato sull’intesa. Riprendo il titolo di una canzone di R. Cocciante il processo di insegnamento/apprendimento è significativamente una “questione di feeling“. Da sempre il filosofo U. Galimberti pone la questione del pensiero emozionale. Recentemente il Professore, intervenendo in un forum sulla scuola ha detto:” Se una persona non è empatica e coinvolgente non può fare il professore. È qualcosa che non si può imparare” . Molteplici sono le soluzioni per creare empatia. Occorre prima di tutto ascoltare i ragazzi. Molti sono quelli che  parlano loro addosso, soffocando il loro bisogno di essere percepiti come esistenti e non difficilmente compresi in categorie adulte e spesso non attuali.
Interessante l’esperienza di questa docente che testimonia come il porsi accanto e non davanti a loro, presupponendo di essere delle sicure, sia la strada da seguire. “Era uno dei primi anni dopo essere diventata docente di ruolo e mi trovavo a prestare il mio servizio in un Liceo Scientifico della provincia. Erano i primi giorni di scuola e mi trovavo quel giorno in una classe quarta ed era giorno di compito in classe. Le mie due ore di lezione in quella classe erano a ridosso dei dieci minuti di pausa di ricreazione e gli studenti erano soliti scendere in cortile per consumare le loro colazioni e per distrarsi un po’. Al suono della campanella della ricreazione dissi ai ragazzi che potevano scendere per poi risalire in classe dopo i dieci minuti. I ragazzi si guardarono imbarazzati e sperduti e uno di loro mi disse con timore che quando c’era compito in classe durante la ricreazione, nessuno degli altri insegnanti consentiva loro di scendere in cortile. Dissi loro che conoscevo la consuetudine, ma che per me non aveva valore, perché, dissi: ” io mi fido di voi, quindi potete andare a fare ricreazione”.  L’anno successivo, prima che i ragazzi si diplomassero, in uno degli ultimi giorni di scuola, lo stesso ragazzo che aveva parlato quel giorno mi disse che lui e i suoi compagni non avevano mai più dimenticato quel “fidarmi di loro” e mi assicurò che mai, a loro volta, nei due anni di scuola con me, ebbero a tradire la mia fiducia e che sentiva, a nome di tutti, di ringraziarmi per quella “fiducia”. Non credo di essere speciale, credo soltanto di essere consapevole che l’insegnamento è un’attività di straordinario spessore morale, una delle più creative: l’insegnante non scrive su una materia inerte, ma nell’anima dei propri alunni, e quindi gli occorrono non solo competenze culturali e didattiche, ma anche relazionali.”

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