Maltrattamenti a scuola, accusa a maestra archiviata: il suo racconto. ESCLUSIVA

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Oramai sono numerosi, e non tendono a diminuire, i procedimenti penali che vedono alla sbarra maestre imputate per presunti maltrattamenti a scuola (PMS). Più volte sono stati illustrati dal sottoscritto i limiti e le stranezze di un fenomeno sorprendentemente tutto italiano: inquirenti non-addetti-ai-lavori, cortocircuitazione del dirigente scolastico e degli ispettori tecnici ministeriali, audiovideointercettazioni non contingentate, manipolazione delle immagini per la decontestualizzazione e selezione avversa degli episodi contestati, violazione del diritto alla riservatezza sul lavoro, intempestività della soluzione giudiziaria rispetto alla necessaria tutela della incolumità degli alunni, differenza tra ambiente familiare (casa) e parafamiliare (scuola) ignorata e tanto altro ancora che invitiamo a rileggere nei precedenti interventi.

Tutto ciò in un periodo storico che non ha mai fatto registrare un “fatto di sangue” a scuola a opera dei docenti, mentre in famiglia questi accadono settimanalmente come racconta la cronaca nera. Non è un caso se l’art. 572 del Codice penale è denominato “Maltrattamenti in famiglia” pur essendo applicato anche in ambienti di lavoro tra cui scuole e asili. Mi piace qui ricordare che un giudice della Corte di Appello di Milano ha recentemente constatato che i maltrattamenti in famiglia – di cui a sua detta si occupava quotidianamente – erano di ben altra portata rispetto ai maltrattamenti (strattonamenti, scappellotti etc) che si contestavano alla maestra che era stato chiamato a giudicare. Ci siamo invero occupati poco delle conseguenze che lasciano certe esperienze anche quando le accuse sono archiviate o si giunge all’assoluzione dell’imputato. Come al solito preferisco far parlare i protagonisti dei fatti piuttosto che rischiare di distorcere il loro pensiero. Riporto così la lettera di Maria (nome di fantasia) che mi aveva già scritto l’estate scorsa ed ha visto di recente la sua vicenda giudiziaria chiudersi bene e con tempi (un anno) decisamente più brevi rispetto a chi viene rinviato a giudizio e processato. Chi segue infatti il rito ordinario può arrivare al terzo grado di giudizio dopo otto anni con le conseguenti spese e immaginabili ansie.

Gentile dottore, sono l’insegnante che le scrisse la scorsa estate perché sconcertata dall’aver ricevuto un avviso di garanzia per maltrattamenti ad alcuni suoi alunni. Bene dopo quasi un anno di attesa, un interrogatorio davanti ad un PM, neppure fossi il peggiore dei delinquenti, 3 testimonianze e tanta attesa (per me un’agonia), questa brutta storia si è risolta con l’archiviazione. Bene! Lei dirà. Eh no, dico io! Ora io non posso appellarmi per controbattere con una denuncia in quanto il mio avvocato (che mi è costato 8000 euro) mi ha chiaramente detto che sarebbe uno spreco di tempo e di denaro che, vista la somma sopra, io non ho più dovendo per giunta mantenere due figli da sola). Ora io mi chiedo: perché questa gente non può anche solo soffrire e patire ciò che ho patito e continuo a patire io tutti i giorni? Già perché ormai io sono la maestra con la denuncia e se un bimbo va a casa e piange il genitore incolpa la sottoscritta. Perché questa gente fa denunce con leggerezza come se scrivesse una lettera ad un amico e poi vive serena. Io ho attacchi d’ansia e panico tutti i giorni prima di entrare a scuola, non riesco più ad essere me stessa in classe né con i genitori, per non parlare del fattore economico che mi ha lasciato sul lastrico. Io mi chiedo perché! Ora ho chiesto aiuto ad una psicologa ma credo sarà un percorso lungo dal quale non uscirò facilmente, per cosa poi per non aver commesso nulla. Si sa una volta che ti mettono un’etichetta non te la togli più figuriamoci quella della “maestra denunciata”, “il mostro”, “la maestra cattiva”. Scusi lo sfogo.

Maria ha visto la sua accusa archiviata poiché il giudice ha trovato infondate e inconsistenti le accuse a lei rivolte. Tuttavia, la maestra ha avuto un importante danno economico ma soprattutto, pur non meritandolo, si porta dietro il “marchio di Caino” tatuatole addosso indelebilmente da utenza, conoscenti e opinione pubblica più in generale. Maria fa bene a seguire un percorso di guarigione con la sua psicologa di fiducia poiché è molto difficile uscirne da soli. Dal punto di vista medico invece basta l’affermazione della maestra (Io ho attacchi d’ansia e panico tutti i giorni prima di entrare a scuola, non riesco più ad essere me stessa in classe né con i genitori) per porre una diagnosi di Sindrome Post Traumatica da Stress.

Del secondo caso che desidero trattare sono venuto a conoscenza di recente ed ha il sapore di una madornale e lugubre beffa. La storia di Cinzia ha inizio nel 2016 e, pur vivendo a Roma, lascia la famiglia e si trasferisce in un paesino del Piemonte perché le viene assegnata una supplenza annuale in una scuola dell’infanzia a 600 km da casa. Dopo pochi mesi, viene accusata di maltrattamenti insieme a quattro sue colleghe. Comincia così il lungo iter giudiziario per le maestre coinvolte. Dopo pochi mesi. emerge prepotente una patologia neoplastica, certamente aiutata dal forte stress della vicenda giudiziaria, che porta in pochi mesi al decesso la maestra nonostante le cure specialistiche. L’accusa che la riguarda è dunque destinata a cadere perché la morte dell’imputato estingue il reato. Tuttavia, nel lasso di tempo che intercorre tra la morte di Cinzia e la registrazione del suo exitus, passano alcuni mesi in cui – ecco la lugubre beffa – viene decretata l’assoluzione con formula piena.

La storia non necessita di commenti e ciascuno può comprendere meglio di sempre che questa nefasta lotta tra le due agenzie educative (famiglia e scuola), se non debitamente risolta e affidata a terzi, porta a drammatiche conseguenze per chi vi opera e per le future generazioni. A perdere è pertanto l’intera società.

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