Può essere legittimo “sospendere” il lavoratore che non si vaccina, ma in caso di solo obbligo vaccinale. Sentenze

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Si sta discutendo se sia legittimo o meno allontanare dal posto di lavoro un dipendente non vaccinato. Non si vuole qui entrare nel merito se sia giusto o non giusto contemplare l’obbligo vaccinale, ognuno ha le proprie idee sul punto, certo è che una vaccinazione diffusa nell’ambito scolastico partendo dal personale scolastico, dirigenti, docenti ed ATA, potrebbe certamente aiutare a limitare la diffusione del coronavirus in questo luogo che dovrebbe essere protetto più che mai.

Non è l’unica misura quella della vaccinazione, anche se la più importante, pensiamo ad esempio al problema delle classi pollaio che continueranno ad esserci, alla questione degli organici ATA e docenti, al tempo scuola, ecc. Sta per iniziare dunque il terzo anno scolastico in situazione di pandemia e il dibattito ora è totalmente focalizzato sul che fare verso chi non si vaccina. Se è vero che una normativa basilare già ci sarebbe, come l’articolo 2087 del codice civile e l’articolo 20 del TU in materia di sicurezza sul lavoro quando afferma che ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro, è anche vero che parte della “giurisprudenza” che si sta formando e che legittima l’allontanamento dal posto di lavoro del non vaccinato sembrerebbe essere facilitata dalla previsione dell’obbligo vaccinale, come accaduto per gli operatori sanitari. In mancanza di detto obbligo, che nella scuola ad oggi che si scrive per il personale scolastico non sussiste, la questione è tutt’altro che pacifica. Commentiamo ad esempio ora il provvedimento noto del Tribunale Belluno, Ord., 06-05-2021 N. R.G. 328/2021.

Il fatto

Le ricorrenti dipendenti con mansioni di operatore socio sanitario, lamentavano che, in conseguenza della mancata disponibilità delle medesime a sottoporsi al vaccino contro il COVID-19, erano state costrette dai datori di lavoro ad usufruire di periodi di ferie. Il giudice di prime cure rigettava il ricorso, valorizzando l’obbligo del datore di lavoro di tutelare la salute sul luogo di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., ed il dettato dell’art. 2109 c.c., a mente del quale il lavoratore ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. Con ricorso le reclamanti, pur dando atto dell’introduzione dell’obbligo vaccinale ad opera del D.L. n. 44 del 2021, hanno chiesto la riforma della predetta ordinanza, chiedendo in via principale di adottare “i provvedimenti necessari e sufficienti a dichiarare il diritto dei ricorrenti di scegliere liberamente se vaccinarsi o meno, al netto del decreto o comunque per i periodi non coperti dal decreto, senza che ciò comporti il loro collocamento in permessi o ferie forzate, la loro sospensione dal lavoro senza retribuzione o, peggio, il loro licenziamento, sospendendo e/o annullando i provvedimenti datoriali che nel frattempo sono stati adottati e dovessero essere adottati in tal senso”.

In caso di obbligo vaccinale legittimo allontanare dal posto di lavoro il dipendente che non si vaccina

L’art. 4 del D.L. n. 44 del 1921 ha introdotto l’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario e, tra questi ultimi, rientrano inequivocabilmente altresì le reclamanti, posto che le medesime hanno, secondo quanto dedotto in atti, la qualifica di operatori socio sanitari. L’applicabilità soggettiva del decreto alle reclamanti, quali operatrici socio sanitarie, non è invero, in ogni caso, in contestazione.

Nella fattispecie in esame, in conseguenza dell’entrata in vigore dell’art. 4 del D.L. n. 44 del 2021, deve ritenersi venuto meno l’interesse ad agire in capo alle reclamanti, risultando introdotto, altresì per gli operatori socio sanitari, e quindi per la categoria di lavoratori a cui appartengono le reclamanti, l’obbligo vaccinale; deve conseguentemente ritenersi giustificata, sulla base del predetto obbligo, l’adozione, da parte del datore di lavoro, di provvedimenti volti a inibire la presenza sul luogo di lavoro, nei particolari ambiti previsti dal decreto, di lavoratori che abbiano rifiutato la vaccinazione anti COVID-19.

Può essere costituzionale prevedere l’obbligo vaccinale

Con la sentenza n. 5 del 2018 la Corte Costituzionale si è invero già pronunciata in merito alla legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale contro il morbillo, affermando, in motivazione, che “la giurisprudenza di questa Corte in materia di vaccinazioni è salda nell’affermare che l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività (da ultimo sentenza n. 268 del 2017)”; ancora, si legge in motivazione che “la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost., laddove il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990) “.

Sempre secondo la richiamata sentenza n. 5/2018 della Corte Costituzionale il necessario contemperamento dei molteplici principi di rilevanza costituzionale lascia spazio alla discrezionalità del legislatore, la quale dev’essere esercitata altresì alla luce delle condizioni sanitarie ed epidemiologiche (si legge, in motivazione, che “il contemperamento di questi diversi principi lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017), e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002).”

Ancor prima, con la sentenza n. 258/1994, la Corte Costituzionale aveva invero già riconosciuto la compatibilità delle leggi sulle vaccinazioni obbligatorie (contro l’epatite B, antipolio, antidifterica e antitetanica) con il precetto costituzionale di cui all’ art. 32. Cost., in quanto finalizzate alla tutela della salute collettiva, ferma la necessità di un contemperamento tra il diritto alla salute della collettività ed il diritto alla salute del singolo.

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