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Dante nel Piano integrato delle Arti e il nuovo uso dei diversi linguaggi

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L’efficacia dell’azione didattica e formativa del docente è strettamente legata alla possibilità di destare l’attenzione degli studenti percorrendo strade ad essi familiari. Compito fondamentale rimane quello di trasformare il sapere scientificamente rilevante in sapere insegnabile e facilmente apprendibile. La didattica deve far fruire tale sapere in modo interdisciplinare, consentendo sia l’acquisizione delle conoscenze dell’alunno che lo sviluppo delle sue competenze.

Chi deve fare ciò?

Colui che può garantire la crescita armoniosa della persona secondo una metodologia adeguata ad ogni singolo individuo è l’insegnante, chiamato a mettere il “segno” nella vita dell’alunno, come “educatore” che conduce nel cammino della conoscenza e come “formatore” della sua personalità.

La scuola è chiamata a dare una risposta alla domanda che ogni momento storico le pone, uscendo dalla standardizzazione e dalla genericità. Educare istruendo significa far nascere il tarlo della curiosità, dello stupore, della conoscenza e della creatività.

Proprio per questo motivo, nella professionalità del docente sono presenti più dimensioni che occorre considerare per far sì che lo studente raggiunga un tipo di sapere strategico. È la varietà di linguaggi, metodi e strumenti didattici che favorisce l’apprendimento in tutte le sue forme.

È possibile utilizzare nuovi linguaggi per leggere la Divina Commedia?

La nota del Ministero della Pubblica Istruzione del 25 settembre 2007 ribadisce l’importanza del Poema dantesco e l’opportunità di integrarne lo studio con opportuni collegamenti pluri e interdisciplinari, come fa anche la Legge 107/2015 in riferimento al Piano integrato delle Arti. La recente istituzione del Dantedì, il 25 marzo di ogni anno, conferma ulteriormente l’opportunità di affrontare lo studio della Divina Commedia da più punti di vista e attraverso il coinvolgimento di diverse discipline.

Il drammatico momento storico che stiamo vivendo è tristemente segnato da una mancanza di fiducia e di prospettive per il futuro, per cui è necessario aggrapparci a chi sa offrire esempi di speranza, come Dante, che viene opportunamente indicato come colui che oggi può ravvivare la fiducia nella possibilità di rivedere la luce dopo un lungo percorso di dolore.

Tale monito non può passare soltanto attraverso le tradizionali proposte interpretative, ma si può fondare sulla ricerca di nuove strategie didattiche e sull’uso di nuovi linguaggi della didattica.

Accendere i riflettori sulla presenza della musica nel poema dantesco permette di aprire, ad esempio, il confronto sull’impossibilità di trovare rappresentazioni di Dio a partire dalla più comune forma espressiva, quale è il linguaggio verbale, fosse pure poetico. Dante ha avuto bisogno di affidarsi alla forma espressiva più astratta, e per questo più universale e plasmabile, per rappresentare Chi non può essere “costretto” in rappresentazioni troppo materiali.

Ecco che il dialogo tra i vari linguaggi, da quello letterario e artistico a quello storico e filosofico, consente una maggiore comprensione dell’intentio dell’opera alla luce del linguaggio musicale che ne evidenzia le connessioni.

In che senso la Divina Commedia è un poema musicale?

La ricchezza del poema dantesco è riconoscibile in quanto i suoi versi splendono per una musicalità che amplifica il senso stesso delle parole. Il significante e il significato si danno reciproca energia e accompagnano il lettore in un viaggio musicale che parte dal χάος (caos) primordiale, in cui l’uomo rischia costantemente di riprecipitare, e conduce fino a contemplare la bellezza intesa come κόσμος (cosmos), a cui l’uomo tende per ritrovare la perfetta armonia come meta desiderata.

Quale attualità nel poema dantesco?

Nella situazione di precarietà che la situazione pandemica ci costringe a vivere ormai da oltre un anno, sentiamo oggi più che mai un forte bisogno di serenità, che si può accostare al modello offerto dall’esperienza poeticamente vissuta da Dante alla fine di un percorso che si snoda nei 100 canti della Divina Commedia. Il Poeta riuscirà a conquistare quella luminosa salvezza di cui anche noi oggi sentiamo il desiderio. La necessità del ritorno all’ordine si può modellare sull’esempio del Poema, che suona per noi come un favorevole presagio: la Divina Commedia segue, dunque, un percorso sonoro che soccorre il poeta nei momenti di più grande intensità, per dare voce più chiara alle parole e svelare la molteplicità dei significati nascosti.  Se consideriamo che il suono (dal latino sonus) è la sensazione data dalla vibrazione di un corpo in oscillazione, ne comprendiamo la natura assolutamente fisica, corporea. Tale vibrazione, infatti, si propaga nell’aria o in un altro mezzo elastico, e raggiunge l’orecchio che, tramite un complesso meccanismo interno, è responsabile della creazione di una sensazione uditiva direttamente correlata alla natura della vibrazione.

Nella sua valenza di poema musicale, si può individuare una linea guida di natura sonora che collega i temi fondamentali del Poema e permette agli studenti di comprenderlo non solo razionalmente ma anche attraverso un coinvolgimento emotivo e senza necessità di mediazioni, nella sua valenza reale e simbolica. Ciò proietta la critica dantesca verso delle realtà interpretative che si rinnovano continuamente. Così insieme a Dante progrediamo dal tormento sonoro dell’Inferno al canto del musico Casella e poi ancora a quello dei beati che intonano il Regina Coeli; dal canto seducente e ingannevole della sirena a quello casto e purificatore di Lia (Purg, XXVII, 94-108), la donna giovane e bella che Dante sogna di incontrare poco prima di entrare nel’Eden mentre canta e raccoglie fiori in un prato.

Cosa significa per Dante ritrovare l’armonia?

Già nella conclusione del Purgatorio Dante aveva fatto esperienza della purificazione, bagnandosi nelle acque dei fiumi Lete ed Eunoè del paradiso terrestre, e in quel momento ogni percezione visiva e uditiva aveva acquisito assoluta chiarezza. Prima di poter ascoltare l’armonia delle sfere, come scrive nel primo canto del Paradiso, quando oltrepassa la sfera del fuoco e sale al cielo della Luna, già nell’ultimo verso del Purgatorio (XXXIII, v.144) Dante si definisce “puro e disposto a salire a le stelle”. 

Descrivere il viaggio di Dante come armonia ritrovata, quindi, significa focalizzare l’attenzione sul fatto che il Poeta, che si era smarrito nel disordine caotico e nel buio della selva oscura, alla fine ritroverà la pura bellezza. Tale bellezza è sorgente di diletto, ed è la sola realtà capace di orientare al Sommo Bene pur restando, in termini inequivocabilmente umani, un diletto. Dante diventa così un testimone attendibile della possibilità di conquistare la felicità e di percepirla emotivamente e razionalmente.

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