Pensioni: lasciare il lavoro a 63-64 anni con parte solo contributiva, ecco proposta INPS come alternativa a Quota 100

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L’ipotesi di anticipare, a chi vuole andare in pensione, solo la quota contributiva lasciando la parte retributiva al compimento dei 67 anni è “pienamente sostenibile” perché non comporta nel medio periodo sostanzialmente nessun aggravio sulle Casse dello Stato.

Così il presidente Inps, Pasquale Tridico, davanti alla Commissione Lavoro della Camera, a difendere così la sua proposta di pensionamento in alternativa a quota 41 dei sindacati e di quota 100 in scadenza.

“Flessibilità e sostenibilità finanziaria” sono le doti della proposta che non disegna una ‘gabbia’ rigida entro cui contenere i futuri pensionati ma lascia al lavoratore l’opportunità della scelta con costi che nel medio periodo, dice ancora, sono sostanzialmente azzerati.

A conti fatti, sarebbero 332mila dal 2022 al 2027 le pensioni aggiuntive che potrebbero essere attivate con la proposta a fronte di un costo di 4,2 miliardi tra il 2022 e il 2027 che sarebbero poi recuperati da risparmi di spesa che dal 2027 al 2031 sarebbero pari a 2 miliardi di euro complessivamente.

Per accedere al pensionamento della sola parte contributiva, ricorda ancora Tridico, bisogna aver compiuto almeno 63-64 anni di età, tetto comunque suscettibile di adeguamento alla speranza di vita; essere in possesso di almeno 20 anni di contribuzione; aver maturato al momento della scelta una quota contributiva di pensione di importo pari o superiore a 1,2 volte l’assegno sociale.

La pensione così strutturata spetterebbe comunque fino al raggiungimento del diritto a quella di vecchiaia. In quel momento il lavoratore, infatti, potrà accedere al trattamento pensionistico costituito dalla somma della quota retributiva e della quota contributiva determinata al momento di accesso alla prestazione.

Una modalità di pensionamento, quello solo contributivo, ricorda ancora Tridico, “parzialmente cumulabile con i redditi da lavoro dipendente e quello autonomo” così come sarebbe possibile ancorare la prestazione a futuro meccanismi di staffetta generazionale, legati anche a part time.

La prestazione invece sarebbe incompatibile, conclude, con trattamenti pensionistici diretti, trattamenti di sostegno al reddito, reddito di cittadinanza, Ape sociale e indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale.

Costerebbe a regime circa 1 miliardo di euro l’ampliamento dell’accesso all’Ape sociale individuato dalla Commissione tecnica al lavoro sulla riforma delle pensioni, secondo il calcolo della stima dei maggiori oneri derivanti dalla modifica della normativa.

Quattro le modifiche ipotizzate dai tecnici:

proroga dell’Ape sociale fino al 2026;  integrazione di alcuni codici di professioni riferiti ad attività affini a quelle attualmente presenti nella categoria dei gravosi; l’eliminazione della condizione di conclusione della prestazione di disoccupazione da almeno 3 mesi ai fini dell’accesso all’Ape sociale e riduzione del requisito di anzianità contributiva per i gravosi appartenenti al settore edile da 36 anni a 30 anni.

“L’ampliamento delle categorie di attività gravose per l’accesso all’Ape sociale avrebbe conseguenze anche per il conseguimento del diritto al pensionamento in favore dei lavoratori precoci nonché ai fini dell’esclusione dall’adeguamento alla speranza di vita per l’accesso al pensionamento di vecchiaia”, spiega ancora.

In particolare il costo nel suo insieme ammonterebbe a 126,7 milioni nel 2022; a 337,1 milioni nel 2023 per arrivare nel 2024 a 520,7 milioni.

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