“Insegnare senza farsi male”: gestire la rabbia degli studenti, educare all’autocontrollo e orientare alla felicità

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Cosa faccio se sono un docente e ho davanti un alunno arrabbiato, spaventato, ansioso? Quale risonanza hanno in me queste emozioni? Come educo l’alunno all’autocontrollo e al rispetto per l’altro, e come posso prevenire e gestire le situazioni di stress in classe? Come faccio a essere un docente accogliente, ma nello stesso tempo capace di dare il limite? Come posso orientare il discente alla felicità e contribuire allo sviluppo sano della sua identità?

Sono alcune delle domande che si pone l’autore nel suo libro dal titolo “Insegnare senza farsi male. Le competenze emotive e relazionali del docente e la prevenzione dello stress in classe”, Utet Editore. L’autore è Gaetano Cotena. Psicoterapeuta, professore a contratto di Psicologia clinica presso l’università degli studi di Brescia e docente di scienze umane in un liceo, Cotena si occupa pure di formazione relazionale ed emotiva per il personale scolastico. Alle domande, terribili, ma urgenti e quotidiane, risponde l’autore nel suo volume illustrando prassi e modalità di intervento che derivano dall’esperienza clinica di psicoterapeuta e di docente in classe, dalla psicologia, dall’antropologia e dalle neuroscienze. In questo volume, come spiega Cotena nella presentazione dell’opera, “le competenze emotive e relazionali necessarie a un docente non restano indicazioni puramente teoriche, ma vengono concretamente delineate nel come si fa attraverso esempi ed esercitazioni”. Alcune sezioni del testo sono esplicitamente dedicate agli studenti, con esercizi di consapevolezza nella gestione della propria emotività e con proposte di riflessioni sul proprio futuro professionale e di studi.

“Il docente ha un ruolo fondamentale – spiega Cotena – nell’orientare l’alunno alla felicità, aiutandolo a rispondere alle domande che costituiscono la sua sfida più difficile: chi sono io? Chi voglio essere? Cosa voglio diventare? Domande che hanno a che fare con la strutturazione dell’identità, che si forma anche nella relazione con le figure educative e attraverso la loro capacità di far sentire l’allieva e l’allievo un essere umano amabile e degno di fiducia”.

Professor Gaetano Cotena, che cosa emerge fin da subito dalla ricerca che sta alla base di questo volume?

“Che c’è uno scostamento tra le richieste che vengono fatte a un docente, in particolare quella di educare l’alunno alla consapevolezza di sé, di educare alla gestione della propria emotività, di educare all’espressione adeguata dei propri bisogni, di educare al rispetto per l’altro e per la diversità, tra queste richieste, dicevo, e l’attuale sistema di selezione e formazione dei docenti”.

Un tema delicato, a tratti scabroso

“Mi fa piacere che ci sia questa consapevolezza. In questo momento, infatti, un docente non viene selezionato sulla base delle sue competenze emotive e relazionali, ma ancora sulla base di contenuti, di conoscenza del programma e delle indicazioni nazionali, e sulla sua capacità di proporre in modo trasversale questi contenuti. Nel processo di selezione il docente non riceve una valutazione della sua capacità di gestire la propria emotività. E’ così per il processo di formazione del docente, che in questo momento storico riceve formazione sui contenuti della sua disciplina, formazione su metodologie didattiche da utilizzare in classe, riceve alcune teorie psicopedagogiche, ad esempio i 24 Cfu dove riceve alcune indicazioni, quali quelle di essere un docente accogliente, di essere un docente autorevole, di educare al rispetto e alla gestione dell’emotività. Ma non viene gli spiegato come si fa tutto questo, quali sono i gesti, le parole da utilizzare, quelle da non utilizzare. Quello che fa bene e quello che fa male profondamente a un essere umano non viene spiegato, peraltro in una professione che ha, o dovrebbe avere, la relazione principale come sfondo principale dell’apprendimento. Anche la formazione attuale sull’inclusione spesso risulta essere un susseguirsi di teorie. Ma non vengono dati al docente strumenti relazionali ed emotivi concreti. Restano quindi molti interrogativi scoperti dall’attuale formazione offerta ai docenti”.

Quali?

“Come si fa, ad esempio, a essere un docente accogliente, ma nello stesso capace di dare il limite? Come sto, io docente, con un alunno che manifesta la propria ansia, la propria rabbia, la propria tristezza? Come oriento l’alunno alla felicità? Che cos’è un attacco di panico? Come posso evitare alcune parole o interventi che possano non contribuire a scatenare un attacco di panico? Quali sono i gesti che posso fare per non nuocere allo studente?”

Queste le domande. Ma quali sono le risposte?

“Nel libro sono delineati alcuni strumenti concreti necessari a un docente che si proponga non solo di trasmettere dei contenuti ma anche di essere un adulto di riferimento e a volte alternativo nella gestione dell’emotività, della relazione. Strumenti che la formazione offerta dal sistema in questo memento non fornisce.”

Perché?

“Perché è un tipo di formazione che non può essere fatta da altri docenti ma che è necessario attingere dagli psicologi e dagli psicoterapeuti. E questo per due motivi. Intanto lo psicologo e lo psicoterapeuta, avendo a che fare con il disagio emotivo, hanno il dono di ascoltare ogni giorno i racconti intimi degli esseri umani e quindi recepiscono, nella stanza di terapia, che cosa fa bene e che cosa fa soffrire quello stesso essere umano, attraverso il racconto dei pazienti. E anche che cosa fa intimamente soffrire un alunno, per esempio a causa delle svalutazioni di un insegnante. Il secondo motivo è dovuto al fatto che lo psicologo e lo psicoterapeuta sono esperti della relazione, perché fanno della relazione addirittura uno strumento di cura. Si è visto infatti che indipendentemente dal tipo di indirizzo di psicoterapia e indipendentemente dalle tecniche utilizzate, lo sfondo di ogni cura della psiche e del disagio psichico passa attraverso la relazione. Non si può non tener presente di questi strumenti emotivi, cognitivi, relazionali e di consapevoleza se vogliamo veramente parlare di educazione, poiché l’educazione si fonda su processi di identificazione con l’adulto significativo, e di introiezione”.

Identificazione e introiezione. Spieghiamo

“Identificazione significa che io bambino o alunno assimilo, cioè faccio miei, alcuni dei comportamenti del docente e del genitore. Introiezione significa che il bambino mette dentro di sé le parole rassicuranti o svalutanti che gli vengono detti dall’adulto”.

Quali danni rischiano di produrre gli insegnanti in classe?

“Guardi, io faccio vedere nei miei corsi come si struttura l’identità di un essere umano. Come si struttura quello che penso di me e degli altri? E quello che penso del mondo e della vita? Ognuno di noi ha questi pensieri. E queste, che si chiamano convinzioni di vita, nascono all’interno delle relazioni significative”

Soprattutto in famiglia, immagino

“Certo, soprattutto in famiglia, ma l’insegnante può essere l’adulto alternativo, e può aiutare lo studente: se gli adulti di riferimento mi fanno sentire amabile e degno di fiducia, andrò nel mondo sentendomi così. Se avrò potuto fidarmi degli adulti che avrò incontrato, andrò nel mondo fidandomi degli altri. Invece, se a casa – dai genitori – e a scuola – dal docente – avrò ricevuto il messaggio che non valgo, io strutturerò un’identità svalutata ed è più probabile che andrò nel mondo sentendomi con poco valore. L’identità è un dono sociale che nasce nella relazione e quindi il docente ha la grande responsabilità di contribuire in modo significativo alla strutturazione dell’identità del futuro adulto”.

Quali sono i punti deboli della formazione in questo campo, secondo lei?

“Le metodologie didattiche che vengono offerte in questo momento nella formazione dei docenti rappresentano un terreno scivoloso perché portano l’alunno ad essere sollecitato sulla sua emotività e sulle sue competenze relazionali ma il rischio è che di fronte ai vissuti che emergono durante l’utilizzo di queste metodologie il docente non sappia occuparsi dell’emotività, dei racconti, delle condivisioni, delle fatiche dichiarate dall’alunno. In genere ci si mette in cerchio, magari un alunno ti dice: professore sono in ansia, che cosa posso fare? E il docente come si occuperà di domande di questo tipo? E’ un tema attuale”.

Queste problematiche investono solo i doicenti oppure anche la dirigenza delle tante scuole?

“Il processo di selezione e di formazione riguarda anche i dirigenti scolastici e la loro formazione ha da essere basata anche su competenze emotive e relazionali perché il dirigente ha una ricaduta sul clima scolastico, sulla relazione fra i singoli docenti e l’istituzione scolastica e quindi anche sulla relazione tra docenti e alunni”.

Gli studenti spesso stanno male. Ormai è un via vai di ambulanze che soccorrono alunni e alunne in preda ad ansia e attacchi di panico. Ma i dcenti che cosa possono fare?

“Io inizio sempre una lezione chiedendo sempre: come state? Durante i corsi di formazione che erogo alcuni docenti mi dicono di non chiedere ai propri studenti come state, specie in questo periodo, perché dicono di non avere gli strumenti per gestire le proprie risposte. E quindi si rifugiano nella trasmissione del contenuto, perdendo così occasioni per fare educazione all’emotività, alla consapevolezza di sé, all’esternazione dei propri bisogni, che è quello che in astratto il sistema scolastico chiede ai docenti, senza però fornire loro gli strumenti per farlo. L’educazione è il terreno dell’imprevedibilità. Un docente non sa quando entra in classe se trasmetterà un contenuto su cui che aveva programmato la lezione il giorno prima oppure se farà educazione all’emotività, alla consapevolezza, all’esternazione dei propri bisogni”.

Si va allo sbaraglio?

“Ogni giorno il docente dovrebbe entrare in sintonia con i bisogni dell’alunno e mediare continuamente tra la richiesta di trasferire informazioni ed educare alla consapevolezza, avendo in mente che in entrambi i casi avrà fatto scuola. Un’ora passata a fare consapevolezza su di sé è un giorno che rispetta le richieste che vengono fatte al docente. La classe può diventare veramente un laboratorio di educazione civica in tutte le discipline ma solo se il docente ha le competenze per cogliere e gestire le competenze in classe affinché l’educazione civica, come purtroppo accade oggi per quel che sento, non diventi un semplice approfondimento delle singole materie mancando uno degli obiettivi principali di questa disciplina, che è il rispetto per sé stessi, per l’altro e per la diversità”.

Se non bastasse, ci ha pensato la pandemia a peggiorare la situazione. A questo proposito, molti tirano in ballo le responsabilità della Dad. Lei come la vede?

“Rifugiandoci nella didattica a distanza, gli esseri umani hanno perso una grande occasione di fare scuola in un altro modo in questi due anni”.

E come?

“Dopo due settimane dall’inizio del lockdown eravamo tutti connessi. Spaventati dall’impossibilità di fare scuola e dallo spettro di non poterla più fare nel periodo della pandemia, l’essere umano, e le istituzioni, hanno scelto la via più semplice e più immediata per soddisfare il bisogno di fare scuola ma anche quella meno nutriente per la relazione e l’emotività. Io penso che un essere umano in grado di attrezzarsi per arrivare su Marte sarebbe stato capace, riflettendo e dandosi il tempo, di trovare un altro modo per fare scuola che non fosse il guardarsi solo nei volti e in una modalità che aggiunge spesso stress alla giornata scolastica. Avremmo fatto forse due giorni alla settimana di lezione, avremmo riaperto le palestre, i cinema e i teatri, ci saremmo alternati a scuola, avremnmo trovato altri modi per fare scuola, perché sono convinto che l’intelligenza della nostra specie – che ha bisogno di tempo per attivarsi – sarebbe stata capace di fare cose diverse. Il problema attuale è che la Dad sta entrando anche nei futuri percorsi formativi come parte del monte ore e mi riferisco ad alcuni licei quadriennali per la transizione ecologica e digitale, che comprendono già nel piano dell’offerta formativa alcune ore di didattica a distanza. E guardi che sono gli stessi licei che hanno inserito la neuroscienze nel loro piano di formazione dei loro studenti ma che hanno escluso anche qui le ore di psicologia. Come a dire che attraverso le neuroscienze scopro come funziona una macchina – il cervello – ma che non è importante la benzina per farla funzionare: studiamo come funziona il cervello, però si trascura la competenza relazionale”.

Professore, lei nel libro parla del permesso di essere felici. C’è speranza in merito al fatto che gli alunni vedano la scuola e gli insegnanti come uno strumento per avvicinarsi alla felicità?

“Il docente ha un ruolo importantissimo per l’orientamento alla felicità. Anche su questo faccio rieferimento nel libro a una delle domande che spesso fanno gli studenti. Che cosa è la felicità? chiedono. Ma dietro questa domanda c’è un’altra, più profonda, che ha a che fare con l’orientamento: come posso essere felice? E allora altri interrogativi restano scoperti per il docente. Ad esempio: come stare con uno studente che deve scegliere il percorso universitario per il suo futuro? Come posso io docente non essere invasivo ed evitare di contaminare la sua scelta e nel nello stesso momento stare accanto a lui? Quali domande posso fargli per aiutarlo a orientarsi in quello che vorrà diventare? Il docente può mettere la propria voce e dire: puoi farcela.

Ma che cos’è il permesso di essere felici?

“E’ il permesso che arriva dall’adulto di riferimento di ascoltare i propri desideri, le proprie fatiche, i propri limiti, le proprie inclinazioni, non facendosi contaminare dalle aspettative esterne, di immagine, proposte, consapevolmente o inconsapevolmente, dalla famiglia o dalla società in generale. E’ per questo che dare indicazioni a uno studente che sta scegliendo la professione o il percorso universitario basandosi sui test delle competenze proposti dalle università rischia di far perdere di vista un’altra componente fondamentale per il benessere emotivo che è il piacere di sentirsi al proprio posto”.

Professore, torniamo agli strumenti concreti che sono necessari a un docente che si proponga non solo di trasmettere dei contenuti ma anche di essere un adulto di riferimento e a volte alternativo, come dice lei, nella gestione dell’emotività, della relazione. Quali sono gli strumenti che lei indica nelle pagine del volume?

“Sono strumenti di consapevolezza, emotivi, cognitivi e relazionali”.

Partiamo dalla consapevolezza, di cui si parla con sempre più diffusa insistenza tra le persone che vogliono arrivare un buon livello di benessere

“Consapevolezza è sapere come uso le mie emozioni. Quali sono le situazioni che richiamano i miei bisogni non soddisfatti e quindi la mia storia. Dunque il docente ha la sua storia e quando entra in classe incontra venticinque, trenta storie che richiamano e sollecitano la propria e quindi ci sono alcune situazioni che sono potenzialmente fonte di stress per un docente e non per un altro. Ma ogni insegnante deve fare consapevolezza su quali sono le situazioni particolarmente sollecitanti per lui: quando entro in classe quali sono le situazioni che mi sollecitano di più reazioni istintive, quali quelle che mi inducono svalutazioni, aggressività, reazioni istintive? Si chiamano situazioni elastico, cioè situazioni del presente che sollecitano vissuti più profondi e che per questo rischiano di innescare una reazione troppo automatica e non gestita. Altro aspetto della consapevolezza è domandarsi: come utilizzo la rabbia? Come utilizzo la tristezza? E l’ansia? Nel libro ci sono degli esercizi che fanno prendere consapevolezza di tutti questi aspetti”.

Veniamo agli strumenti emotivi e cognitivi

“Quoi ci si chiede: che cosè l’ansia? Quali sono le emozioni fondamentali? Che cos’è la tristezza? Cosa dico a uno studente che mi dichiara la sua tristezza o la sua rabbia? In due capitoli del libro sono descritti in particolare i significati dell’ansia e della rabbia e vengono illustrate delle esercitazioni per il docente e per lo studente. Nel capitolo sull’ansia vengono forniti esempi di rassicurazione da utilizzare per non incentivare l’ansia nello studente. Gli strumenti cognitivi sono di lettura del conflitto, per aiutare a comprendere quale sia il pezzo di responsabilità del docente in una relazione educativa conflittuale con l’alunno. In particolare, in uno dei capitoli del libro si fa riferimento al Triangolo di Karpman, anche questo uno strumento messo a disposizione da uno psicologo.

Infine, gli strumenti relazionali.

“Questi aiutano a rispondere a una domanda: com’è una relazione accogliente? Com’è una relazione nella quale l’essere umano si sente rispettato? Perché il docente invita gli studenti al rispetto dell’altro ma non li educherà al rispetto se prima lui stesso non farà vedere come si rispetta un altro essere umano. E un essere umano non si sente rispettato quando viene valutato, quando viene invaso, quando gli vengono offerte delle soluzioni non richieste, quando gli viene negato il diritto di sentire”.

Quand’è che succede questo?

“Il diritto di sentire viene negato a un essere umano tutte le volte che gli viene detto: non devi essere triste, non devi essere arrabbiato, non devi essre in ansia. Dire queste parole a un alunno significa non rispettarlo nel suo diritto di sentire. La conflittualità avviene quando si offrono soluzioni non richieste. Se ti do le soluzioni non entrerai in contatto con il tuo bisogno e non ti abituerai a esternarlo. Se l’alunno è giovanissimo ci può stare. Con i più grandi, di fronte alla loro ansia e alla loro tristezza, potrò invece utilizzare la domanda: che cosa posso fare per te in questo momento?”

Il processo di selezione e di formazione anche per i dirigenti scolastici e la formazione ha da essere basata anche su competenze emotive e relazionali perché il dirigente ha una ricaduta sul clima scolastico, sulla relazione fra i singoli docenti e l’istituzione scolastica e quindi anche sulla relazione tra docenti e alunni

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