Per avere diritto alla pensione di inabilità occorre infermità che pregiudichi la possibilità di svolgere qualsiasi lavoro. La sentenza

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Nella sentenza in commento della Corte dei Conti della Regione Siciliana, n°242/22, si estrapolano i punti in diritto più rilevanti in materia di pensione di inabilità per i pubblici dipendenti.

Quali i requisiti per accedere alla pensione di inabilità?

Si rileva in termini generali che l’art. 2, co. 12, L. 335/1995 ha esteso il regime della pensione di inabilità, già previsto per i dipendenti del settore privato dalla L. 222/1984, al comparto del pubblico impiego prevedendo, con effetto dal 1° gennaio 1996, per i dipendenti della Amministrazioni pubbliche cessati dal servizio per infermità non dipendenti da causa di servizio, per le quali gli interessati si trovino nell’assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa, un trattamento pensionistico calcolato su un’anzianità corrispondente a quella loro spettante nel caso di collocamento a riposo per raggiungimento dei limiti di età. Il decreto del Ministero del tesoro n. 187/1997 contenente le modalità applicative della citata norma, ha stabilito, all’art. 2 i seguenti requisiti per l’attribuzione della suddetta pensione di inabilità: a) anzianità contributiva di almeno cinque anni, di cui almeno tre nel quinquennio precedente alla decorrenza della pensione di inabilità, computata ai sensi dell’art. 2 della legge 4 aprile 1952 n. 218; b) risoluzione del rapporto di lavoro per infermità non dipendenti da causa di servizio; c) riconoscimento dello stato di assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa conseguente all’infermità di cui alla precedente lettera b)”.

Pensione di inabilità e infermità che pregiudichi la possibilità di svolgere qualsiasi lavoro

Per avere diritto alla pensione di inabilità, ricordano i giudici, il pubblico dipendente deve trovarsi in una condizione di infermità che pregiudichi in modo totale e permanente la sua possibilità di svolgere qualsiasi lavoro (subordinato, autonomo o professionale) confacente alle proprie attitudini.

A tal proposito la giurisprudenza recente della Corte di cassazione (Cfr. Sez. lavoro, 8678/2018) ha affermato che tale condizione sanitaria “deve essere determinata esclusivamente dall’infermità ovvero dal difetto fisico o mentale, senza che debba verificarsi, in caso di mancato raggiungimento di una totale inabilità, il possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità alle generali attitudini del soggetto (in tal senso, pur dopo qualche oscillazione giurisprudenziale, è ormai attestata questa Corte: si vedano Cass. n. 9946 dell’8 maggio 2014; Cass. n. 9970 del 29 aprile 2009; Cass. n. 16955 del 26 agosto 2004)”.

Infatti, la Cassazione ha avuto modo di affermare che con la legge 222/1984 si è “passati dalla considerazione della potenzialità reddituale (capacità di guadagno) alla considerazione della “potenzialità energetica” (capacità di lavoro) per cui non trovano più posto nel giudizio sanitario “quei fattori socio – economici legati alla difficoltà o impossibilità, per un soggetto dalla capacità lavorativa ridotta, di inserirsi nel mercato del lavoro che tanto spazio avevano ricevuto nella precedente legislazione” (Cfr. Cass., Sez. Lavoro, ex multis, n. 12261/1998, n. 17159/2011, n. 10953/2016). In sostanza quel che conta al fine della sussistenza del requisito sanitario richiesto per accedere alla suddetta pensione di inabilità è che, a causa delle infermità, sia venuta meno in modo definitivo qualsiasi capacità lavorativa sicché nel caso in cui residui la potenzialità di attendere ad attività lavorative confacenti alle proprie attitudini, indipendentemente dal ritorno reddituale che dalle stesse possa derivare e dal tipo di lavoro (subordinato, autonomo o professionale), il suddetto requisito deve ritenersi escluso.

D’altronde, a fronte di questo più severo giudizio di incapacità lavorativa corrisponde una più intensa tutela economica del pensionato, attraverso l’attribuzione di contributi figurativi che incrementano l’anzianità posseduta alla data di risoluzione del rapporto di lavoro, fino al raggiungimento dell’anzianità contributiva massima di 40 anni, fermo restando che tale trattamento non può superare il limite dell’80 per cento della base pensionabile né quello del trattamento pensionistico spettante nel caso che l’inabilità sia dipendente da causa di servizio.

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