Ius Scholae, cittadinanza italiana dopo 5 anni di istruzione. “Scuola non può che essere unanimamente favorevole”. INTERVISTA ad Alessandra Cenerini

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Dopo il caos in Commissione Istruzione, è stata rimandata al 29 giugno la discussione dell’Aula di Montecitorio sul provvedimento che, se approvato, permetterà a chi è arrivato in Italia prima dei 12 anni di acquisire la cittadinanza dopo aver completato un ciclo scolastico di cinque anni. Una speranza concreta per rafforzare i percorsi di integrazione nel nostro paese che premierebbe le aspettative di una platea di oltre 330mila ragazzi (dati Miur), non più vincolati al compimento dei 18 anni di età per essere riconosciuti come cittadini italiani. Analizziamo insieme ad Alessandra Cenerini, Presidente ADi, le ragioni per cui il mondo della scuola non può che essere unanimemente favorevole a questa proposta di legge.

Cenerini, Il percorso dello Ius Scholae si profila molto accidentato, con gli oltre 700 emendamenti di Lega e Fratelli d’Italia. Quali sono i suoi pronostici?

Se dovessi basarmi sulla fortuna di cui godono i provvedimenti legati all’istruzione, il mio pronostico sul buon esito dello Ius Scholae sarebbe drammaticamente negativo, ma voglio sperare che alla Camera arrivi il sentire profondo del mondo della scuola che su questo terreno è il più naturalmente aperto ed avanzato, anche se non sempre lo è in termini di capacità di efficace integrazione.

Cosa pensa dell’invito alla cautela espresso dal Sottosegretario Sasso?

Come giudicare un intervento che definisce lo Ius Scholae “colpo di mano” e “fuga in avanti”, con le classiche aggiunte che “ci sono cose più importanti da fare, che non c’è fretta, che non fa parte del programma di governo” e via elencando. Non c’è fretta? Vorrei ricordare che sono già passati 7 anni da quando il 13 ottobre 2015, durante il Governo Renzi, la Camera approvò in prima lettura la proposta di legge sullo Ius Culturae, che poi là si arenò. L’opposizione di Lega e Fratelli d’Italia al diritto di cittadinanza per i figli degli immigrati, come definito peraltro in una legge molto cauta, pare in sintonia con un clima di restaurazione che sta mettendo in discussione fondamentali “diritti umani” anche laddove sembravano acquisiti.

Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, gli alunni con cittadinanza straniera sono 876.801, di cui oltre 500mila nati in Italia. In base al vincolo dei cinque anni di ciclo scolastico, previsto dalla Proposta di legge, la platea dei minori beneficiari stranieri iscritti alla scuola secondaria di I e II grado arriverebbe a superare i 300mila. Pensa che nel corso della discussione avrà il giusto peso la contrazione demografica fotografata dall’Istat già per i prossimi 10 anni? Rafforzare i percorsi di integrazione significa far diventare l’Italia un paese sempre più allettante per chi cerca lavoro e mette così a disposizione le proprie energie e le proprie risorse.

Due considerazioni una legata all’istruzione e una al mondo del lavoro. Per quanto riguarda l’istruzione, siccome ai ragazzini immigrati è garantito il diritto alla scolarizzazione, gli insegnanti non sembrano percepire oggi la positiva influenza che lo Ius scholae potrà avere sul calo demografico. Non faranno pertanto, a questo fine, io credo, quelle forti pressioni sui politici che hanno sempre esercitato in situazioni di pesante soprannumerarietà . Per quanto riguarda il mondo del lavoro non mi pare, purtroppo, che ci sia stata finora capacità politica di visione a lungo raggio e volontà di attivare soluzioni al preoccupante disallineamento fra domanda e offerta, fra richieste del mondo del lavoro e coerenti attività di formazione. E quindi non pare, purtroppo, diffusa la consapevolezza dell’importanza di rafforzare i percorsi di integrazione e di collegarli in modo equo e reciprocamente conveniente al mondo del lavoro.

Secondo lei, sono o no chiare alle forze politiche che fanno ostruzionismo le implicazioni economiche, oltre che etiche e culturali, del provvedimento? Nell’articolo di Giovanni Cominelli condiviso sul vostro sito si mette in evidenza che la prima motivazione che porta all’urgenza dell’approvazione di questa proposta è legata al tema del deficit della forza lavoro causato dalla fuga dall’istruzione tecnico-professionale da parte dei figli di famiglie italiane.

Giovanni Cominelli ha fatto un’analisi molto interessante, toccando temi raramente evidenziati in modo così chiaro ed esplicito. La fuga dall’istruzione tecnica e professionale degli studenti italiani, e più in generale la crisi di questo settore, costituiscono una delle questioni chiave irrisolte del nostro sistema di istruzione e formazione. Fino ad oggi, però, le pesanti implicazioni civili, sociali ed economiche del declino dell’istruzione tecnica e professionale paiono essere poco chiare non solo alle forze che fanno ostruzionismo allo Ius Scholae, ma a tutte le forze politiche. Permane, in breve, un generale rifiuto culturale a ri-immaginare la filiera complessiva dell’istruzione e formazione tecnico-professionale attraverso la valorizzazione della “cultura del lavoro”. Una svolta a questa situazione potrebbe essere impressa proprio dal progressivo calo delle iscrizione degli alunni italiani agli istituti tecnici e professionali, dal calo demografico e dal crescente numero di studenti stranieri, che, in meno di dieci anni, potrebbero diventare prevalenti nell’istruzione e formazione tecnica e professionale. Questo “sorpasso”, insieme alle pressanti richieste del mondo del lavoro, potrebbe portare ad assumere una visione più “globale” di questo settore dell’istruzione, a ri-immaginare un nuovo ecosistema di istruzione tecnico-professionale secondaria e terziaria liberato dagli antichi pregiudizi sulla ” cultura del lavoro” e dagli atavici vincoli della “grammatica della scuola”.

E comunque, al di là delle cogenti implicazioni economiche, lo Ius scholae resta una fondamentale e non più procrastinabile battaglia di civiltà…

Su questo non c’è dubbio alcuno ed è molto triste che a distanza di oltre 30 anni dall’approvazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza ci siano ancora obiezioni all’approvazione dello Ius Scholae come quelle che abbiamo sentito da vari parlamentari. Vorrei concludere su questo tema, ricordando le parole che François Dubet pronunciò alla fine della sua relazione nell’ultimo seminario internazionale di ADi: “Contro la tradizionale narrativa mitica nazionale, la scuola dovrebbe costruire una narrazione in cui la nazione è nel mondo, in cui le minoranze e i migranti hanno un posto, in cui la nazione è un’arte di vivere insieme, un patriottismo di cittadini piuttosto che un’identità basata sul rifiuto degli altri.”

Ebbene io spero, citando nuovamente Dubet, che gli insegnanti saranno capaci di resistere ai brutti venti che stanno soffiando, e sapranno difendere nelle pratiche la scuola del “patriottismo costituzionale” secondo la definizione di Habermas.

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