Docente esperto, “gli insegnanti di ruolo e precari sono già ‘esperti’ ma pagati troppo poco. Restituire alla scuola le risorse scippate”. INTERVISTA a Giorgio Crescenza (CSPI)

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Il tema più caldo sotto ferragosto è diventato quello del docente esperto: l’insegnante che, a partire dal 2032, dopo aver superato brillantemente 3 cicli di formazione, andrà a guadagnare 5800 euro in più all’anno rispetto ai colleghi.

Si tratta del provvedimento “tirato fuori” dall’ultimo decreto legge, il decreto aiuti-bis, approvato dal Consiglio dei Ministri.

Forze politiche (non tutte) e sindacati hanno mostrato le proprie perplessità. La sensazione è che quello del docente esperto sarà un argomento che continuerà ad essere centrale nel dibattito pubblico sulla scuola.

Ne abbiamo parlato con Giorgio Crescenza, membro del Cspi ed esperto di politiche scolastiche.

Il docente esperto: era una figura necessaria da introdurre nella scuola (seppur nel 2032)?

Non ci sono motivi di urgenza e non c’è nessuna conformità con la legge 76/22 sulla formazione dei docenti, nell’introdurre il “Docente esperto”. La scuola non ha bisogno di questi interventi maldestri che prevedono 32 mila “esperti” scelti nei prossimi quattro anni a fronte di 800 mila insegnanti “inesperti”. La scuola quotidianamente accoglie le diversità, promuove al massimo le potenzialità di ciascuno, contrasta le diseguaglianze, aiuta a costruire valori di solidarietà, onestà, collaborazione, insegna alle proprie studentesse e ai propri studenti ad essere liberi nel pensiero, autonomi e retti, valorizza il pensiero divergente e la fantasia, per affrontare il futuro con creatività e senza paure. Riesce a farlo quasi sempre, nonostante i pochi mezzi e le esigue risorse, non solo nei centri benestanti, ma anche nelle periferie sociali. E riesce a farlo perché è un lavoro corale ed esperto di tutte e di tutti i docenti, di ruolo e precari, che avrebbero bisogno soprattutto di un giusto riconoscimento economico, pagati troppo poco rispetto alla media dei colleghi europei. Per parlare seriamente di Riforme vere e buone occorre restituire le risorse scippate alla scuola, incluso il taglio all’organico previsto  a decorrere dai prossimi anni,  e solo dopo si potrà ripartire da una riflessione più ampia che rilanci nella società la riflessione pedagogica ed educativa sul sistema dell’Istruzione e dell’educazione necessario oggi al Paese. Un sistema che non contempli classi pollaio, ma che faccia tesoro di quanto appreso durante la pandemia per ridurre le diseguaglianze.

Fra le critiche più aspre si registrano quelle dei sindacati, che vedono un’invasione di campo sulla formazione

Sulla formazione incentivata dei docenti si interviene per legge su materie proprie del contratto (valorizzazione professionale e salario) in aperto contrasto con l’ordinamento contrattuale e le prerogative sindacali. La formazione in servizio, deve essere obbligatoria ed inclusa nella funzione docente, destinata a tutti e non soltanto a pochi, sia nella forma dell’auto-aggiornamento e dell’aggiornamento di istituto, sia nella forma dei periodi sabbatici, da realizzare in tempi definiti e secondo  precise  modalità  indicate in  Piani Nazionali  che definiscano  le  risorse, i  tempi,  i luoghi e istituiscano albi di Associazioni, Istituti e  Soggetti a cui affidare la gestione dei  percorsi. 

Eppure la necessità di cambiare la formazione dei docenti è stata più volte sottolineata negli anni. L’impianto previsto in generale dalla legge 76 è totalmente da riscrivere secondo lei oppure bisogna solo correggere le parti “errate”?

Quanto introdotto dalla Legge va interpretato come un primo importante strumento per riaffermare la centralità e la necessità della formazione degli insegnanti, dopo la fine poco comprensibile delle SSIS, l’ingiustificata eliminazione del FIT e il rattoppato “accrocchio” costituito dai 24 CFU, per lo più conseguiti in maniera farraginosa e spesso in Università telematiche. In tal senso, la Riforma ha provato a costruire dei passi importanti verso una seria, competente, aggiornata “cultura della formazione’’, della preparazione degli insegnanti perché siano posti nelle condizioni di capire la necessità della ‘presa in carico’ dell’apprendimento autentico e della crescita educativa dei ragazzi e delle ragazze. Tuttavia, il sistema così delineato prevede troppe prove che si ripetono inutilmente e che va assolutamente semplificato perché rischia di essere ridondante: prove di accesso e uscita dei percorsi abilitanti, prove concorsuali, test finale dell’anno di prova. Inoltre, andrebbe molto più valorizzata la formazione tra pari, intensificando i momenti di confronto tra i docenti di una scuola o di una rete di scuole che possano collettivizzare le proprie esperienze.

Cosa pensa del middle management a scuola?

Vanno previste ulteriori risorse per l’articolazione organizzativa all’interno delle Istituzioni scolastiche e per compensare le prestazioni aggiuntive di natura organizzativa, gestionale, di coordinamento didattico, di supporto da parte dei docenti. La figura del middle management è un concetto che rischia di cristallizzare posizioni e gerarchizzare il personale, rompendo l’idea di comunità educante. I compiti , che si pongono come  intermedi fra il Collegio, gli altri OOCC e la dirigenza, ferma restando l’unicità della funzione docente, dovrebbero essere svolti a rotazione, assegnati dal DS su indicazione del Collegio dei docenti e riconosciuti meglio a livello economico. Dovrebbero inoltre rispondere sia ai bisogni generali delle scuole, individuati a livello nazionale (orientamento, organizzazione dei dipartimenti disciplinari, gestione e cura dei laboratori, rapporti con le realtà locali, gestione e coordinamento dei GLH, documentazione), sia a situazioni specificamente locali, come le scuole situate in aree a rischio, con alta presenza di famiglie straniere, problemi contingenti nati da fusioni di scuole o di plessi, partecipazione della scuola a progetti o ricerche nazionali o europee. 

Invece sul fronte reclutamento e formazione iniziale? Cosa pensa del testo finale? Quella riforma può essere efficace per il nuovo percorso per diventare insegnante?

Appare prioritario, trattando questo tema, collegarlo al superamento del precariato, vera piaga della scuola italiana alla quale si continua a non mettere riparo e che, oltre a sofferenze personali e professionali, provoca discontinuità nella relazione educativa, causa non ultima di molti insuccessi scolastici. Appare comunque fondamentale, prima di affrontare il tema  della formazione dei nuovi docenti, ridefinire il bisogno di organico sia docente che ATA, recuperando i tagli effettuati a seguito delle “riforme”.

In definitiva, qual è la sua visione?

Per sostenere una professionalità delicata e molto esposta, quale è quella docente, sarebbe opportuno e necessario istituire a livello territoriale decentrato  una Unità di supporto pedagogico-didattico, che possa accogliere e risolvere le complessità di singoli docenti o di intere scuole. Ripensare la formazione può significare quindi assumere l’impegno sociale e politico che la diffusione di saperi sia promotrice di crescita personale, di garanzia dell’eguaglianza sociale e di benessere economico e ambientale.  Alla scuola oggi compete: educare alla mondialità, offrire strumenti per rielaborare i saperi disciplinari, favorire l’approccio competente all’uso delle nuove tecnologie, sviluppare le relazioni interpersonali e l’apprendimento cooperativo, conservare memorie e valori storici, fornire l’apprendimento cooperativo, fornire abiti interculturali per  la costruzione di una società plurale, solidale e di pace, educare ai linguaggi espressivi non verbali per valorizzare gli aspetti emotivi della conoscenza, promuovere competenze con cui si possa affrontare la complessità senza paure e con una sana curiosità.

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