Docente svolge supplenze per 707 giorni senza retribuzione individuale accessoria: il Tribunale le restituisce 3.867 euro più interessi

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Continua l’opera di restituzione ai docenti della retribuzione professionale docenti precari: la somma, pari a 174.50 euro al mese, negata a tutti gli insegnanti precari (come pure la Cia al personale Ata), viene sistematicamente negata dallo Stato, ma da qualche tempo ci pensano i giudici a mettere le cose a posto, almeno su questo versante, indennizzando tanti precari già penalizzati da buste paga ridotte perché private degli scatti automatici invece accordati ai colleghi di ruolo.

Negli ultimi mesi sono innumerevoli le sentenze che hanno accordato la restituzione dei 174,50 euro al mese, per mancata assegnazione della cosiddetta Rpd: si era espresso favorevolmente a febbraio il tribunale di Forlì, poi quello di Modena, quindi di Catania, in primavera abbiamo avuto la sentenza favorevole di Paola. E ancora, nella provincia di Cosenza, dove una maestra ha recuperato quasi 2mila euro più interessi e un’altra quasi 2.900 euro, poi a Verona, dove il giudice del lavoro ha accordato 1.200 euro per un solo anno di supplenza annuale svolto.

Stavolta a fare giustizia è stato il Tribunale ordinario di Firenze, che ha detto si al diritto di una docente per la “percezione della retribuzione professionale docenti, prevista dall’art. 7 del CCNI del 31.08.1999, in relazione al servizio prestato in forza dei contratti a tempo determinato stipulati con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ora Ministero dell’Istruzione” tra il 2014 e il 2017, condannando lo stesso Ministero, si legge nella sentenza, “al pagamento delle relative differenze retributive, in ragione dei giorni di lavoro effettivamente svolti, quantificabili al momento del deposito del ricorso, in € 3.867,29 oltre interessi legali dalle singole scadenze al saldo. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio, da distrarre in favore dei sottoscritti procuratori che dichiarano di aver anticipato le prime e non riscosso le seconde”.

Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “queste sentenze ci dicono che il diritto alla riscossione di RPD e CIA mensili è illegittimo e discriminante: negli ultimi due anni scolastici a fare le spese di questa norma ingiusta sono stati anche decine di migliaia di supplenti “Covid”. Come lo sono i tanti immessi in ruolo dopo uno o più anni di supplenze, che hanno percepito tanti stipendi ridotti. Li invitiamo a verificare ognuno la propria posizione, utilizzando il calcolatore online messo a disposizione gratuitamente da Anief: in tal modo potranno accertare se vi sono o meno i presupposti per avviare i ricorsi in Tribunale con il patrocinio dello stesso sindacato a condizioni economiche vantaggiose”.

LA SENTENZA DEL TRIBUNALE ORDINARIO DI FIRENZE

La docente aveva svolto supplenze brevi e saltuarie negli anni scolastici 2014/2015, 2015/20016 e 2016/2017, nello specifico per complessivi giorni 707 (187 nell’a.s. 2014/2015; 249 nell’a.s. 2015/2016 e 271 nell’a.s. 2016/2017) e “si doleva di non aver percepito per tali periodi la cd. retribuzione professionale docenti (pari ad € 164,00 lordi mensili fino a febbraio 2018 e ad € 174,50 lordi mensili da marzo 2018), corrisposta dal Ministero convenuto solo ai docenti di ruolo ed a quelli con contratti a tempo determinato di durata annuale (con scadenza al 31 agosto o al 30 giugno); censurava il carattere discriminatorio di tale condotta datoriale, rilevando che la propria attività lavorativa nel corso di tali supplenze non si era differenziata da quella svolta dai docenti di ruolo (e da quelli con contratti a termine annuali), presentando i medesimi oneri ed il medesimo grado di responsabilità e di qualità”.

Il giudice, dopo avere valutato “il principio di non discriminazione rispetto ai lavoratori assunti a tempo indeterminato, in applicazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato 18.3.1999 allegato alla Direttiva 1999/70/CE” e che la Suprema Corte ha già avuto modo di precisare che tale emolumento “ha natura fissa e continuativa e non è collegato a particolari modalità di svolgimento della prestazione del personale docente ed educativo”, e che quindi “gli assunti a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato, a meno che non sussistano ragioni oggettive (Cass., 1773/2017, Cass., 20015/2018, Cass., 6293/2020, Cass., 6435/2020)”, ha concluso che “la ricorrente ha diritto alla erogazione della RPD, al pari dei docenti a tempo indeterminato e dei docenti a tempo determinato su posto vacante e disponibile per l’intera durata dell’anno scolastico o al termine delle attività didattiche”.

“Pertanto – si legge ancora nella sentenza, emessa il 15 settembre scorso – la medesima ricorrente ha diritto al pagamento delle relative differenze retributive, in rapporto ai giorni di lavoro effettivamente svolti; non ha pregio l’eccezione di prescrizione tempestivamente eccepita dal Ministero (sull’operatività di suddetta prescrizione anche nel caso di specie, vd. da ultimo Cass., 10219/2020), in quanto i crediiti sono maturati entro 5 anni dalla data di notifica dell’atto di diffida del 10.12.2018 in atti (doc. 8 fasc. ric.). Stante la mancata contestazione sul quantum (se non in ragione della eccepita prescrizione), spetta alla ricorrente la somma di € 3.867,29, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero resistente. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore dei procuratori di parte ricorrente dichiaratisi antistatari”.

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