“Insegno da più di 10 anni come precaria, ho scritto 7 libri didattici, ma ogni anno il Miur mi licenzia” [INTERVISTA]

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“Sono una docente, una precaria storica (e stoica!) della scuola in quanto insegno da più di 10 anni. Grazie alla mia laurea, al dottorato, a tanti anni di assegni di ricerca e di supplenze, ho accumulato un bel numero di punti e guadagnato la seconda posizione nelle GPS di seconda fascia, nella mia classe di concorso.

In realtà, ho pubblicato anche 7 libri scolastici di scienze che, però, per i criteri di valutazione della scuola italiana, non danno diritto ad alcun punteggio. Insomma, potrei entrare in classe e spiegare sui libri che io ho scritto ma questo per il Miur vale zero. Ma questo è un altro discorso”. E’ un altro discorso quello che Fabiana Chimirri, 46 anni, insegnante di Torino, accenna con una piccola punta polemica che in realtà segnala il tema del merito e delle competenze che il ministero valuta (o non valuta) quando decide di premiare i propri insegnanti, favorendoli negli incarichi annuali oppure facendoli entrare in ruolo. Un altro discorso che abbiamo deciso di approfondire in questa intervista.

Fabiana Chimirri, una laurea in Biologia, ha una lunga esperienza in termini di lavoro e di ricerca nel campo delle materie scientifiche. Ha insegnato per parecchi anni in carcere alle Vallette di Torino, più precisamente denominata Casa circondariale Lorusso e Cutugno, attraverso ilCPIA 1 Paulo Freire. Ha insegnato in un liceo scientifico, in un istituto internazionale di Torino, ora lavora in una scuola secondaria di primo grado. Ma è in carcere – dice lei – che “ho dato un senso al mio essere insegnante”. Qui Fabiana ha assunto anche la qualifica di referente di sede, uno dei tanti incarichi di responsabilità che vengono affidati ai docenti precari ma che puntualmente vengono ignorati, legge alla mano, al momento della valutazione dei titoli. Neppure le tante pubblicazioni scientifiche legate alle materie che insegna vengono prese in considerazione, non solo nel suo caso, ovviamente. E neppure i tanti libri di testo adottati negli anni nelle scuole italiane, scritti da lei assieme ad altri autori, per una casa editrice importante, la Pearson Education Italia. Scrive libri di testo usati in classe dai docenti di ruolo, ma lei insegna da oltre dieci anni e resta precaria. Non c’è nessuna pretesa nelle sue considerazioni, ma le sue considerazioni offrono lo spunto per una riflessione.

Professoressa Fabiana Chimirri, come inizia la sua carriera?

“Dopo la laurea, ho conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università di Torino, svolgendo il mio lavoro presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica e Scienza dei Materiali. Feci tale scelta perché all’inizio insegnare non era nei miei progetti. Durante il dottorato avevo iniziato a fare delle brevi supplenze visto che, in certi periodi, non ero coperta dalla borsa e, quindi, avevo bisogno di lavorare. Ma il mio obiettivo era fare ricerca per cui, terminato il dottorato, mi sono fermata a lavorare al Politecnico. Sono stata titolare di svariati assegni post-doc e borse, tra cui il Master dei Talenti della Fondazione ISI CRT, che sostiene attivamente qualificati progetti di ricerca e iniziative di eccellenza nei processi di accumulazione di conoscenza scientifica e tecnologica. Ho lavorato presso l’Environment Park, il parco scientifico-tecnologico della mia città. Amavo molto stare in laboratorio a condurre esperimenti, svolgere tutte le attività di chi lavora in un’università, come scrivere articoli scientifici, partecipare ai convegni, seguire tesisti e stagisti. Ho trascorso gli ultimi tre anni da ricercatrice, dal 2010 al 2012, al Biosolar Lab, realizzato presso la sede di Alessandria del Politecnico di Torino. Infine, gli assegni sono terminati”.

A quel punto che cosa succede?

“Nel 2012 mi sono trovata senza lavoro, così ho scelto di insegnare a tempo pieno. Con la mia laurea posso insegnare matematica e scienze alla scuola secondaria di primo grado e scienze alle superiori. Ho iniziato le supplenze ma, siccome sono flessibile ed eclettica, ho colto altre opportunità lavorative”.

Quando inizia la sua attività di scrittrice di libri di testo scolastici?

“L’attività di scrittrice inizia nel 2016 quando un consulente editoriale mi ha proposto il progetto di un libro di scienze per il primo biennio delle superiori, dicendomi che non aveva mai puntato su un cavallo sbagliato. Evidentemente aveva intravisto in me delle qualità che neppure io sapevo di avere, data la mia totale inesperienza in tale settore. Questo mi ha gratificato moltissimo. Così ho potuto intraprendere questo percorso che trovo stimolante e gratificante. Del resto collaboro per una casa editrice importante, la Pearson, e, nel tempo, abbiamo pubblicato una collana di volumi di Scienze Naturali per i 5 anni delle scuole secondarie di 2° grado, poi un Atlante della salute, e Biovita, il nuovo corso di biologia per la scuola. Tutti testi adottati e da adottare: c’è stata in mezzo la pandemia che ha creato qualche problema con le nuove edizioni ma si va avanti”.

Insegnare a scuola l’ha aiutata a capire meglio i bisogni degli studenti-lettori?

“Sicuramente sì. Molti concetti scientifici devono essere spiegati in maniera semplice e ordinata”.

La gratifica la redazione dei testi?

““Certo. Quando sfoglio i miei libri mi sembra impossibile toccare con mano tutto quello che ho partorito dalla mia testa e poi la trovo una cosa molto divertente. Sento molto il mio senso del dovere, la voglia di contribuire a creare menti autonome pensanti e desidero portare ogni giorno in classe allegria e passione per le discipline che insegno”.

C’è davvero tanta ritrosia negli alunni verso le materie scientifiche, come talvolta si denuncia?

“Le discipline STEM sono fondamentali al giorno d’oggi. Il mio obiettivo è sviluppare negli alunni un senso critico e il pensiero divergente, abituandoli a porsi delle domande; molti argomenti si prestano bene al confronto. Le scienze possono offrire ottimi e validi spunti anche sul piano dell’educazione civica. L’unico modo per far appassionare gli alunni alle scienze è quello di incuriosire e coinvolgerli, ancorando ciò che imparano a scuola alle loro esperienze personali. Aprire la loro testa è fondamentale”.

E loro se la lasciano aprire?

“Sì, bisogna trovare il canale comunicativo giusto in base al tipo di studenti, non è sempre facile, ma è necessario farlo, bisogna creare degli essere pensanti”.

Secondo uno stereotipo ormai superato le femmine sono meno adeguate per la matematica. Che cosa ne pensa?

“Per quanto riguarda la mia esperienza, non è così. Specie nella scuola media. L’interessamento agli argomenti scientifici non è una questione di genere. Le alunne sono mature, hanno ordine mentale, un gran senso del dovere e la voglia di far bene”.

Un altro stereotipo è che la matematica sia difficile

“Come primo approccio alcuni studenti mi dicono: non capisco niente, la matematica non la capisco, è difficile. Anche insegnando agli adulti ho notato una sorta di timore reverenziale nei confronti di questa materia. In realtà, cerco di rassicurarli e incoraggiarli, indipendentemente dall’età, per far sì che tirino fuori il meglio. Qualche volta mi dicono: questa è la prima volta che riesco a fare gli esercizi, e quando succede sono felici. Io dico loro: prova a farlo, se sbagli non importa, poi lo correggiamo. Invece loro tendono a eliminare ogni traccia dell’errore. Ma avere l’errore sotto gli occhi è utile: cerca l’errore da solo – dico – senza che io ti aiuti. Il potere educativo dell’errore è decisivo e fondamentale. Io uso la matematica come strumento educativo”

La matematica è comunque un po’… impegnativa, diciamolo.

“Basta trovare un approccio giusto, utilizzarla in maniera più ludica. Quando, per esempio, non riescono a risolvere le espressioni, provo a spiegargliele usando i livelli dei videogiochi: calcoli così le parentesi tonde, poi quelle quadre, infine le parentesi graffe. E’ una materia che può diventare ostica se non è presentata nel modo giusto”.

Veniamo alla parte più spinosa dell’intervista…

“Qui si apre un mondo. Il paradosso della scuola italiana è che, considerando il mio caso specifico, io insegno da 10 anni e quindi vuol dire che per lo Stato sono in grado di entrare in classe per fare l’insegnante e, anzi, mi ha mandato in scuole di periferie, in carcere, e senza alcun tipo di formazione. Però poi ogni anno quello stesso Stato mi licenzia”.

Ma ha fatto i concorsi?

“Ho fatto il concorso straordinario del 2020 dedicato a chi aveva i tre anni di servizio e non l’ho superato – farò lo straordinario bis, imminente – ma come è possibile che io, per i criteri che lo Stato usa per mandare in classe le persone, assumendole e licenziandole per tanti anni, abbia i requisiti per svolgere la professione, ma poi c’è il concorso e i requisiti cambiano e quindi non vado più bene? Io sono entrata in crisi: se non passo il concorso – mi son detta – vuol dire che non sono una brava insegnante. Per fortuna le persone che hanno lavorato con me mi rassicurano dicendomi che vincere un concorso è un terno all’otto. Oltretutto ho fatto la referente di sede in carcere. Ho sviluppato delle competenze che capisco siano difficili da valutare, ma bisognerebbe trovare un sistema per tenerne conto. Nell’anno scolastico appena concluso sono stata coordinatrice del gruppo carcere della rete Cpia Piemonte: come docente e referente del carcere di Torino ho fatto il lavoro di coordinamento delle scuole carcerarie. Io ho sviluppato delle competenze specifiche e peculiari in questo settore, negli anni ho studiato e mi sono formata per migliorare la mia professionalità. Una delle cose più belle che mi sono sentita dire è: quando siamo in classe con te non ci sembra che ci siano le sbarre alle finestre”.

E ora?

“Mi sto apprestando al concorso bis, a ottobre ci sarà questa prova, vedremo. Ho sborsato volentieri 130 euro per un investimento importante. Ci sarà una prova orale ma poi dovrò ottenere i 60 i Cfu. Ma perché? Prima erano 24: un docente deve formarsi, certo, ma altra questione è fare i corsi universitari che si fanno a 20 anni, io non ho più 20 anni. Se lavorassi per un’azienda succederebbe tutto questo? Se tu sei un docente di musica, tutte le esperienze vengono valutate, se scrivi dei libri o articoli scientifici no. Perché un titolo artistico sì – ed è sacrosanto – e il mio no? Negli anni ho fatto qualche investimento su di me: ho preso l’ECDL, la patente europea per i computer, e ho conseguito il First, il certificato di lingua inglese di livello B2 della Cambridge University. Per questo nelle GPS mi hanno dato un punticino. Peraltro, nonostante voglia fare investimenti su di me, in quanto precaria non ho diritto, almeno per legge, alla carta docenti. Alcuni anni fa ero in una media ed era arrivata una circolare rivolta a chi volesse svolgere il percorso CLIL. Viste le mie competenze, io ho chiesto al preside: posso farlo?”

La risposta?

“La sua risposta è stata: lei è una professoressa precaria, non posso fare un investimento su una persona che il prossimo anno non sarà qui”

Ora dove insegna?

“Io ora insegno in una scuola media diurna, l’I.C. Palazzeschi di Torino, dove sono stata accolta bene. I colleghi sono stati gentili e disponibili con me. È davvero un’ottima scuola e gli studenti delle mie classi sono svegli, simpatici e molto promettenti. La cosa brutta è semmai quella di cambiare e di rinunciare così alla continuità rispetto a quello che stavo facendo in carcere; e mantenere la continuità sarebbe fondamentale, oltre che un diritto, per tutti gli studenti, indipendentemente dal fatto che si tratti di ragazzini o adulti. E quindi il non essere di ruolo crea questo ulteriore disagio. Ti facciamo fare il referente: ma quest’anno non potrò utilizzare questa professionalità perché ho una scuola nuova, i colleghi sono nuovi, il tipo di lavoro è diverso, l’utenza è differente, da adulti ristretti passerò ad alunni bambini”.

Ci racconti qualcosa di particolare della sua esperienza di insegnante in carcere.

“La mia esperienza di insegnante nel carcere Le Vallette di Torino, è iniziata per caso ma, poi, è proseguita per ben 6 anni dei miei 10 da insegnante. Durante la pandemia un’emittente radio di Torino, Antenna 1, ci ha offerto gratuitamente uno spazio per fare la Dad. Così raggiungevamo gli studenti detenuti attraverso la radio, con la nostra trasmissione intitolata Libera Frequenza. Ogni insegnante registrava a casa le lezioni-audio, per la propria disciplina, che venivano quotidianamente mandate in onda in modalità asincrona”.

Quindi tutta la città ascoltava le lezioni della didattica a distanza?

“Sì. Trasmettevamo gli audio alla radio e, una volta in onda, anche la città sentiva la lezione, certo. Attraverso gli account e-mail che il CPIA1 aveva attivato, gli studenti potevano comunicare con noi e mandarci i compiti; poi noi glieli restituivamo, con la stessa modalità, con le correzioni”.

Lei ha preparato una lettera aperta sulla sua avventura di insegnate perennemente precaria precaria. La presenti qui:

Quest’anno l’essere in cima alla graduatoria non mi è servito a nulla, anzi mi ha paradossalmente penalizzata. Infatti, al momento della chiamata per la consueta supplenza, il 31 agosto, la cattedra che io avrei voluto occupare  (la mia prima scelta insomma!) non era disponibile perchè, come cattedra di fatto in un CPIA, era stata “tagliata”. Peccato! Seppur a malincuore, ho preso servizio presso la scuola media che l’algoritmo ha deciso di assegnarmi. In realtà, non potevo fare altrimenti, pena l’esclusione da GPS. Magicamente, però, dopo soli 6 giorni dalla mia nomina, la cattedra è “ricomparsa” (pare per quelle che chiamano “restituzioni”; ma non è dato sapere quali siano i criteri del funzionamento di queste restituzione in ambito provinciale), ed è stata assegnata ad una persona in 1134° posizione con 45 punti. Mi sono sentita beffata e continuo a provare amarezza e un incommensurabile senso di frustrazione e impotenza. Il fatto di essere “in testa alla classifica” non mi ha neppure permesso di scegliere. Ma non posso e non devo lamentarmi perché lavoro. Però mi chiedo: non sarebbe stato meglio aspettare una settimana e avere tutte le cattedre effettivamente disponibili prima di far partire la “roulette dell’algoritmo”? Perché di questo si tratta. Un gioco per tappare i buchi del personale docente.  Ho raccolto tra i colleghi di GPS 2° fascia un enorme malcontento generale per le assegnazioni di quest’anno, tra docenti che sono stati assunti per il sostegno che avevano inserito come “ultima chance” pur di lavorare, tra chi (come me!!!) avrebbe voluto mantenere la continuità didattica (che continua a essere “calpestata” mentre dovrebbe essere il primo fattore da prendere in considerazione), oppure persone che non stanno lavorando perché sono stati “saltati” dall’algoritmo. Credo nella tecnologia e nell’informatica come mezzo potente e indispensabile ma la mia sensazione è di essere nelle mani di un algoritmo che necessita di una profonda messa a punto. Qual è l’obiettivo? Avere un sistema che serva soltanto a velocizzare il lavoro degli Uffici Scolastici, perennemente in affanno, facendo in un giorno ciò che prima richiedeva 2 settimane, oppure un mezzo che funzioni in modo efficace? Avere in cattedra docenti motivati e soddisfatti, cosa che mi pare non stia accadendo nell’a.s. appena iniziato, è fondamentale per ottenere un servizio pubblico efficiente e ben funzionante. Non si tratta semplicemente di “tappare dei buchi” per poter dire pubblicamente che “dal 1 settembre tutti i docenti hanno preso servizio”. Ricordiamoci che gli abbinamenti non sono tra un numero e un tabellone per le estrazioni del lotto bensì tra un docente e degli studenti. Sarebbe meglio non giocare con la vita delle persone”. Ecco tutto.

 
 

 

 

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