Stipendi dei docenti sono bassi (-27% rispetto ai colleghi UE), così la professione è poco attraente. Report OCSE

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Fra il 2000 e il 2021 i livelli di istruzione in Italia sono cresciuti più lentamente della media dei paesi Ocse. La quota di giovani fra i 25 e i 34 anni con un titolo di istruzione universitaria è cresciuta infatti di 18 punti percentuali (dal 10% nel 2000 al 28% nel 2021) rispetto a una crescita in media di 21 punti percentuali. Lo rivela il Report dell’Ocse ‘Education at a Glance 2022 – Uno sguardo sull’istruzione’. 

L’Italia resta uno dei 12 paesi Ocse in cui la laurea non è ancora il titolo di studio più diffuso in questa fascia di età.

Il Report

Il nuovo Report e i principali dati sull’Italia sono stati presentati oggi alla stampa, nel corso di un evento organizzato congiuntamente da Ocse, Fondazione Agnelli e Save the Children, in contemporanea con la presentazione internazionale di Education at a Glance 2022, con la partecipazione in sala del ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi. La presentazione si è svolta a Roma presso la sede di Save the Children.

Il rapporto è il principale compendio internazionale di statistiche nazionali comparabili che misurano lo stato dell’istruzione nel mondo. L’edizione di quest’anno include un focus sull’istruzione terziaria e copre anche l’impatto della pandemia di Covid-19 durante l’anno scolastico 2021/22.

Il rapporto analizza i sistemi educativi dei 38 paesi membri dell’Ocse, nonchè Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Arabia Saudita e Sud Africa prendendo in considerazione indicatori come: la spesa pubblica e privata per l’istruzione; il vantaggio di guadagno dell’istruzione; ingresso e diploma di scuola superiore; stipendi legali ed effettivi dei capi di istituto; e gli stipendi degli insegnanti e i tempi di istruzione.

“Occorre investire già dalla scuola primaria”

“L’analisi dell’Ocse – ha dichiarato Raffaela Milano, direttrice Programmi Italia-Europa di Save the Children –individua nodi critici che devono essere messi al centro dell’agenda del nuovo Parlamento e Governo. A partire dall’accesso all’università e dal mancato inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, con la conseguente perdita di talenti e la drammatica crescita dei giovani Neet”.

“Tuttavia, le disuguaglianze nascono molto prima: già durante la scuola primaria gli esiti degli apprendimenti differiscono, seguendo le condizioni socioeconomiche familiari e territoriali, e questi divari non fanno che aumentare durante tutto il percorso di studi, favorendo la dispersione scolastica. Per intervenire alla radice delle disuguaglianze educative è dunque necessario investire sin dalla primissima infanzia, con una rete di asili nido e servizi educativi di qualità accessibili a tutti”.

“La definizione di un livello essenziale delle prestazioni – ha proseguito – per raggiungere il 33% della copertura dei servizi in ogni ambito territoriale e l’assegnazione di rilevanti risorse nell’ambito del Pnrr per la costruzione di nuovi asili rappresentano passi avanti significativi. Questo processo va monitorato anche per dotare le nuove strutture di personale educativo adeguatamente formato e per raggiungere prioritariamente i territori più deprivati, con un forte impegno nel contrastare sul nascere la povertà educativa”.

“Il nuovo Report conferma una volta di più che dappertutto, anche in Italia, studiare conviene. In primo luogo – ha aggiunto Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli – per avere un lavoro e retribuzioni migliori. Ma anche perchè livelli d’istruzione più elevati sono, come sappiamo, correlati con una salute migliore, una maggiore partecipazione alla vita civile e capacità di comprendere l’altro. Per tutte queste ragioni dobbiamo fare crescere il numero dei nostri laureati, oggi ancora fra i più bassi nei paesi Ocse. Ma agire sui livelli di istruzione non basta: al di là del titolo, conta ciò che si sa davvero. Perciò è fondamentale fare crescere i livelli di apprendimento e di competenze dei nostri studenti, che soprattutto nelle scuole secondarie sono insoddisfacenti e peggiorati con la pandemia, nonostante la spesa pubblica per la scuola – infanzia, primaria e secondarie – sia allineata, se non talvolta superiore, alle medie europee e Ocse”.

Divario territoriale importante

Per quanto riguarda l’Italia, il Report anche quest’anno conferma un quadro di criticità dell’istruzione, non mancando, tuttavia, di sottolineare aspetti che – nel confronto internazionale – emergono come relativi punti di forza o comunque incoraggianti.

Fra questi, primo fra tutti l’elevata percentuale di bimbi fra i 3 e i 5 anni che frequentano la scuola dell’infanzia (92%), un dato che colloca il nostro Paese al di sopra della media OCSE, anche se bisogna ricordare che il monte ore di insegnamento dell’Italia è inferiore alla media europea (rispettivamente 945 e 1071 ore), con una minore offerta oraria nelle regioni meridionali. Nei successivi gradi di istruzione il monte ore (744 alla primaria, 608 alle medie e 608 alle superiori) risulta comunque di poco sotto la media UE (rispettivamente 740, 659 e 642), anche se sono presenti in Italia forti disuguaglianze territoriali nell’offerta di tempo pieno nei gradi inferiori, con le regioni del sud in netto svantaggio rispetto a quelle del nord.

Sopra la media OCSE, sia pure leggermente, si conferma nel 2021 anche la spesa cumulativa per il singolo studente della scuola dell’obbligo: per un ragazzo o una ragazza fra i 6 e i 15 anni spendiamo in Italia 105.750 dollari (calcolati a PPA, parità di potere d’acquisto, per tenere conto delle differenze del costo della vita fra i diversi paesi). Va osservato, tuttavia, che questo non si traduce in un’offerta di servizi e spazi scolastici uguale sui territori, dove esistono ampi divari, ad esempio, nell’offerta di tempo pieno, nella disponibilità di mense scolastiche o di palestre nella scuola primaria e secondaria di I grado.

L’Italia è invece decisamente agli ultimi posti per quanto riguarda la spesa per studente universitario: 12.000 dollari (PPA) all’anno contro una media OCSE di oltre 17.500.

La retribuzione degli insegnanti è bassa

Il Report conferma il dato noto che le retribuzioni dei docenti italiani sono basse e poco dinamiche, ciò che rende l’insegnamento nel nostro Paese una professione poco attraente. Entrando nel dettaglio, si sottolinea come le retribuzioni nei paesi OCSE vanno in media dai 42.000 dollari del livello pre-primario a più di 53.500 della secondaria di II grado, mentre in Italia si collocano a livelli inferiori, rispettivamente a 40.000 e 46.000 dollari.

Anche le dinamiche nel tempo impressionano: dal 2015 al 2021 la retribuzione media OCSE di un insegnante di scuola secondaria di I grado è aumentata del 6%, ma in Italia l’incremento è stato inferiore, solo dell’1%.

Interessante, infine, il confronto nei diversi paesi fra la retribuzione degli insegnanti e quella degli altri laureati. Nel 2021 in Italia un docente di secondaria di I grado ha guadagnato il 27% in meno di un lavoratore full-time laureato (media UE, -11%). La retribuzione dei dirigenti scolastici è invece dappertutto in genere superiore a quella di un lavoratore full-time laureato (media UE, + 31%), in Italia è più alta del 73%.

Dopo la pandemia sono aumentati i Neet

Un significativo indicatore del deficit di efficacia dell’istruzione in Italia in vista dell’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro che emerge nel Report è la crescita del numero già elevato dei giovani adulti che non hanno un lavoro, né seguono un percorso scolastico o formativo (NEET), rischiando di avere risultati economici e sociali negativi a breve come a lungo termine.

Dopo essere salita al 31,7% durante la pandemia nel 2020, la quota di NEET tra i 25 e 29 anni in Italia ha continuato ad aumentare fino al 34,6% nel 2021. Tale quota è diminuita tra il 2019 e il 2020 dal 28,5% al 27,4% per i giovani tra 20 e 24 anni, ma è poi aumentata fino al 30,1% nel 2021. Questa situazione rischia di perpetuare il circolo vizioso che va dalla povertà economica a quella educativa, e viceversa.

Un’importante differenza fra l’Italia e gli altri paesi OCSE è la distribuzione dei titoli di studio terziari. Mentre in Italia fra la popolazione fra i 25-64 anni il 14% ha una laurea magistrale e il 5% triennale, la media OCSE vede una situazione opposta, con il 19% di lauree triennali e il 14% magistrali.

Il conseguimento di un titolo di studio universitario facilita l’ingresso nel mercato del lavoro, ma con forti differenze tra tipi di lauree. Nel 2021 il tasso di occupazione dei laureati in medicina e nelle professioni sanitarie o nei servizi sociali era pari all’89%, ma solo del 69% tra i laureati nelle discipline artistiche.

Inoltre, gli studenti di triennale che si laureano entro tre anni dalla fine della durata teorica del corso di studio in Italia sono solo il 53% contro una media OCSE del 68%. Per quanto riguarda il supporto finanziario fornito agli studenti universitari, il 38% degli studenti in Italia ne è destinatario (generalmente borse di studio e servizi per il diritto allo studio universitario), posizionando il nostro Paese in una posizione intermedia tra quelli di area OCSE con un’elevata percentuale di studenti che ricevono supporto finanziario (80%) e altri con percentuali più contenute (meno del 25%).

RAPPORTO

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