“Dispersione scolastica, ecco come l’abbiamo azzerata”, “i soldi non bastano, ci vuole un’idea pedagogica di fondo”. INTERVISTA al Dirigente Catania

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Ennesimo tentativo di furto, qualche giorno fa, in una scuola, ancora una volta di Palermo. Epilogo diverso, però: è scattato l’allarme e gli autori dell’irruzione ai danni dell’Istituto Comprensivo Giuliana Saladino, colti in flagranza di reato, sono stati arrestati dalla polizia. Ma come vivere episodi del genere all’interno di una scuola e di un territorio impegnati da decenni in “una sorta di braccio di ferro quotidiano con una sub-cultura mafiosa” come ha affermato il dirigente scolastico prof. Giusto Catania? Abbiamo contattato il dirigente dell’istituto, Giusto Catania da anni attivo nella lotta alla mafia e alla criminalità organizzata in una Palermo impegnata, dalla lontana “Primavera” sul fronte dell’affermazione dei diritti e delle libertà.

Prof. Catania, quali sono le difficoltà che incontrate quotidianamente nell’attività che svolgete nel quartiere San Giovanni Apostolo, meglio conosciuto come CEP?

«L’impegno della nostra scuola nel quartiere è totalizzante e permanente e per questa ragione viviamo come un fallimento della nostra missione pedagogica le irruzioni vandaliche all’interno della scuola. Evidentemente la nostra azione non trova immediatamente terreno fertile: siamo impegnati in una sorta di braccio di ferro quotidiano con una sub-cultura mafiosa che, in modo strisciante, contende l’egemonia culturale alla scuola. Per questa ragione non possiamo e non vogliamo mollare un attimo, neanche davanti a questi episodi che rischiano di farci cadere nello sconforto, sulla missione pedagogica della scuola».

Lei ha proposto che gli autori di questo atto criminale vengano affidati a svolgere servizi sociali presso la scuola. Perché ha avanzato questa proposta?

«Ho massimo rispetto per il lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine, che ringrazio per l’attenzione, ma noi facciamo scuola: non possiamo derogare sulla nostra missione educativa né delegare l’azione pedagogica all’autorità giudiziaria. Chi ha commesso questo gesto ignobile probabilmente è stato studente della nostra scuola e restituire il maltolto alla comunità scolastica è certamente un gesto utile che può lasciare una traccia nella crescita e nella consapevolezza di un’intera comunità. È giusto punire il reato ma serve anche un processo rieducativo».

Cosa ha fatto la scuola, in questi anni, per favorire l’educazione alla cittadinanza e svolgere un’azione educativa nel territorio?

«Abbiamo tentato di tenere la scuola aperta al quartiere e gli investimenti di questi ultimi anni sono andati tutti in questa direzione. Purtroppo il virus ha rallentato molte attività ma oggi la nostra scuola ha degli spazi nuovi che sono a disposizione del territorio: una biblioteca, una sala teatro, una sala proiezione che presto diventerà il cinema del quartiere con un’autonoma programmazione settimanale. Abbiamo contribuito a riconoscere la bellezza in un quartiere ancora troppo sporco e abbandonato: la scuola, insieme a realtà associative e con finanziamenti pubblici e privati, ha riqualificato spazi urbani, dipinto murales, istituito uno sportello di ascolto, organizzato momenti di incontro e riflessione. Ma non siamo ancora soddisfatti, vogliamo fare ancora di più. E quest’anno, dopo due anni di pandemia, sarà l’anno della svolta. Abbiamo in corso diversi finanziamenti per ristrutturare la palestra, riorganizzare gli spazi esterni, migliorare la dotazione tecnologica, rendere più accoglienti gli spazi di apprendimento».

Il tasso di evasione e dispersione scolastica continua tuttavia ad essere alto…

«In questi anni abbiamo quasi azzerato la dispersione scolastica ma questo non ci fa stare tranquilli, perché pensiamo sia consolatorio limitarsi all’ottenimento della licenzia media per tutte e tutti. La verità è che, dopo la terza media, la maggior parte li perdiamo di vista, alcuni non vanno più a scuola né frequentano corsi professionali. E il quartiere non ha luoghi di aggregazione né di svago. Il nostro prossimo obiettivo è seguire le nostre studentesse i nostri studenti anche quando non frequentano più la scuola. Con questo obiettivo abbiamo chiesto all’Istituto Autonomo Case Popolare di affidarci uno spazio che la scuola avrebbe riqualificato e custodito per farlo diventare un campo di calcio ma, malgrado le promesse, nulla è accaduto».

Quali sono i prossimi progetti della Giuliana Saladino?

«Abbiamo numerosissimi progetti in itinere e già il mese di ottobre saremo impegnati nell’organizzazione di svariate attività che proiettano la nostra scuola fuori dalla scuola: ospiteremo quaranta docenti polacchi per uno scambio di idee; pianteremo alberi nel quartiere insieme alla Curia e alla Caritas; porteremo diverse classi a svolgere attività sportiva nell’ambito di una manifestazione organizzata dalla Gazzetta dello Sport…»

Cosa chiedete allo Stato per garantire la sicurezza e per migliorare l’offerta formativa della scuola?

«Non bastano i soldi per rendere migliore la scuola italiana. Stanno arrivando tanti soldi con il PNRR ma sembra la manna dal cielo senza una programmazione, un’idea generale, un impianto pedagogico. Il problema della scuola italiana è che manca un’idea di fondo: il mondo è cambiato velocemente in questi anni ed io sono obbligato, da preside, a fare scuola come la facevo da studente. Ma quella era un’altra realtà! Sulla base di un’idea di scuola si destinano le risorse per fare investimenti sulla formazione dei docenti, sull’edilizia scolastica, sulla riorganizzazione degli spazi, per l’acquisto di attrezzature, sulla definizione del curriculo, per stabilire il numero massimo di studenti per classe… La Finlandia e la Corea del Sud, in dieci anni, sono diventate un esempio importante. Sono paesi che hanno scelto di non incentrare la loro azione pedagogica in funzione delle arbitrarie valutazioni internazionali. Noi, invece, abbiamo pensato erroneamente che il test Invalsi fosse il modo migliore per valutare e migliorare la performance della scuola italiana».

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