Docenti precari, niente Rpd in busta paga: il Tribunale di Vercelli restituisce 1.700 euro più interessi ad un’insegnante che nel 2017 aveva svolto supplenze

WhatsApp
Telegram

La mancata assegnazione in busta paga della Retribuzione professionale docenti rappresenta la negazione di un diritto dell’insegnante non di ruolo. Chiedere il rimborso della Rpd è quindi lecito e sempre più giudici stanno condannando il Ministero dell’Istruzione all’assegnazione della somma al docente di turno danneggiato, comprensiva di interessi.

“La somma recuperata con l’apporto del sindacato – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – può anche arrivare a cifre considerevoli se si pensa che il tribunale di Vercelli ci ha appena dato ragione sulla Rpd da riconoscere ad una insegnante precaria, del resto come previsto dall’art. 7 del CCNL 15.3.2001. Al docente, che aveva svolto una supplenza per l’anno scolastico 2017/2018 abbiamo chiesto delle differenze retributive pari a quasi 1.400 euro: il giudice ci ha dato pienamente ragione assegnando la cifra richiesta fino all’ultimo euro con il ricorso e pure con gli interessi maturati nel frattempo”. Non ha avuto seguito, invece, la posizione del Ministero, che aveva chiesto il rigetto della domanda: il giudice l’ha reputata “infondata”, poiché ha reputato “non spettante ai docenti con contratti per supplenze brevi e saltuarie ex comma 3 art. 4 Legge 124/1999”.

Secondo il giudice ricevuto la mancata somministrazione in busta paga della “retribuzione professionale docente prevista dall’art. 7 CCNL corrisposta dal Ministero resistente solo ai docenti di ruolo o ai docenti con contratti a tempo determinato per supplenze annuali al 31 agosto o al 30 giugno”, va a costituire “un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai colleghi docenti a tempo indeterminato e a quelli a tempo determinato con supplenze annuali avendo” loro “reso, di fatto, un sostegno al miglioramento del servizio scolastico sovrapponibile a quello reso dagli altri colleghi; nel caso di specie si sarebbe perciò configurata una violazione del principio di non discriminazione tra lavoratori a termine ed a tempo indeterminato, sancito dalla normativa comunitaria (art. 4 della direttiva CEE 1999/1970, come interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea) ed interna (art. 6 d. lgs 268/2011)” e ribadito dalla “Corte di Cassazione con pronuncia del 27.7.2018 n. 20015”.

Il giudice di Vercelli ha quindi ricordato che “tale emolumento rientra nelle “condizioni di impiego” che, ai sensi della clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, il datore di lavoro, pubblico o privato, è tenuto ad assicurare agli assunti a tempo determinato i quali “non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”. Inoltre, “come statuito dalla Suprema Corte, con valutazione che questo giudice condivide pienamente, deve ritenersi che “le parti collettive nell’attribuire il compenso accessorio “al personale docente ed educativo”, senza differenziazione alcuna, abbiano voluto ricomprendere nella previsione anche tutti gli assunti a tempo determinato, a prescindere dalle diverse tipologie di incarico previste dalla legge n. 124/1999”.

Per il giudice, quindi, “il ricorso deve essere accolto e tenuto conto del conteggio dettagliato riportato a pag. 9 del ricorso, conteggio al quale il Ministero resistente all’udienza di discussione ha aderito, non rimane che dichiarare il diritto della ricorrente alla retribuzione professionale docenti per l’anno scolastico 2017/2018, in relazione al servizio effettivamente prestato in forza dei contratti a tempo determinato sottoscritti (247 giorni, di cui 143 giorni ante 1° marzo 2018 -143 giorni x € 5,47 = € 782,21- e i successivi 104 giorni post 1° marzo 2018 – 104 gg x € 5,82 = € 605,28), quantificata in complessivi € 1.387,49”. Alla somma vanno aggiunti gli “interessi legali dalle singole scadenze al saldo”. Infine, con la sentenza è stato condannato “il Ministero resistente alla rifusione delle spese di giudizio che liquida in € 1.000,00 per compenso, oltre rimborso forfettario 15%, IVA e CPA con distrazione ai difensori antistatari”.

COME PRESENTARE RICORSO

Il sindacato ricorda che è più che saggio rivendicare, con ricorso ad hoc, il diritto alla riscossione di RPD e CIA mensili, negli ultimi due anni negato anche a decine di migliaia di supplenti “Covid” e tanti immessi in ruolo dopo uno o più anni di supplenze, perché hanno percepito gli stipendi da precari ridotti di circa 170 euro mensili. Qualora volessero comprendere l’entità della somma da recuperare possono utilizzare il calcolatore online messo a disposizione gratuitamente da Anief: fatto ciò, potranno attivare, se vogliono, i ricorsi in Tribunale con il patrocinio dello stesso sindacato a vantaggiose condizioni.

WhatsApp
Telegram