Docente spostata di classe da Dirigente chiede risarcimento danni per mobbing, il tribunale rigetta la richiesta. Ecco perché

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Con sentenza, la Corte di appello in conferma di quella di primo grado, rigettava la domanda di risarcimento danni patrimoniali e non da condotte mobbizzanti proposta da una docente nei confronti del MIUR. La Corte territoriale ha negato la possibilità di ritenere il mobbing nelle condotte allegate nel ricorso sulla base del rilievo che in esse difetta l’intento persecutorio, il disegno vessatorio. La Cassazione Civile Ord. Sez. L Num. 33216 /2022 conferma i giudizi pregressi e ne riportiamo alcuni passaggi sulla questione del mobbing in ambito scolastico, fattispecie  generalmente difficile da far riconoscere.

La questione

Nello specifico, secondo quanto emerge dalla sentenza di appello, la docente ha qualificato come mobbizzanti due procedimenti attivati nei suoi confronti dalla dirigente scolastica: il primo conclusosi con la rimozione dell’insegnante dalle classi di insegnamento ed il secondo con la sanzione disciplinare della censura.

Spostare una docente da una classe non è mobbing se non c’è intento persecutorio

Nel caso in questione l’intento persecutorio, da riguardarsi ex ante e non ex post, difetta perché i pretesi comportamenti mobbizzanti (spostamento della docente da una classe all’altra ed attivazione di un procedimento disciplinare culminato con l’irrogazione della censura) sono stati invece necessitati ed imposti dall’esistenza di situazioni obiettive. Nella pronunzia, sulla base delle risultanze istruttorie in atti, vengono indicati i “fatti” che hanno determinato i comportamenti e i provvedimenti della dirigente (la segnalazione a firma dell’insegnante nella quale venivano riferite minacce e ingiurie ai suoi danni da parte della docente; la segnalazione di alcuni genitori di alunni della docente che lamentavano il comportamento violento della stessa nell’esercizio delle sue funzioni; la segnalazione da parte della rappresentante di classe nella quale ci si doleva ancora del comportamento violento della stessa; la relazione dell’ispettore tecnico da cui emerge la conferma di tali comportamenti).

Sulla base di queste risultanze probatorie, continua la Cassazione, il giudice di appello ha ritenuto, quindi, di poter escludere che sussistesse un intento persecutorio nei confronti della docente e, dunque, che dovesse escludersi ogni condotta mobbizzante.

Per concludere sul punto che “ del resto è del tutto pacifico che, al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione, così da doversi ritenere implicitamente rigettate le argomentazioni logicamente incompatibili con esse”. Dunque, se viene meno l’intento persecutorio, se gli atti contestati, hanno fondamento di legittimità per le situazione oggettive che si vengono a determinare nel contesto lavorativo, per quanto percepiti come ingiusti, il mobbing è da escludersi.

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