Come insegnare l’uso della “parola”: intanto liberiamo i docenti dalle riunioni e da modelli rigidi che rendono la lingua arida. INTERVISTA al professor Francesco Mercadante

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La parola è uno dei caratteri distintivi per gli esseri umani che li differenzia, potremmo dire, dagli altri animali. Durante l’arco della vita di un individuo – dall’infanzia alla tarda età adulta – gli esseri umani, con l’aiuto della parola, imparano e si adattano al loro ambiente. Le parole che i bambini ascoltano, imparano e sviluppano la loro personalità. Allo stesso modo, la parola si adatta e si modella alle diverse situazioni e alle poliedriche occasioni. Ne abbiamo parlato con il prof. Francesco Mercadante. Il professore Francesco Mercadante, docente, è professore aggregato di analisi del linguaggio presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Gestaltica Integrata di Trapani. Prima insediarsi come aggregato a Trapani, era professore incaricato di Analisi dei Testi presso i Corsi di Laurea di Psicologia dello Sviluppo e di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Palermo e presso il Master in Economia del Turismo di Unitelma Sapienza. Collabora col Sole 24 Ore, è membro del comitato scientifico della Fondazione per la Sostenibilità Digitale. Le sue ultime pubblicazioni sono “Le parole dell’economia” (2022, Sole 24 Ore), “Questo è il mio sangue Romanzo paradossale sulla vita di Yeshùa Christòs” (2022, Gruppo Editoriale Bonanno). Ha pubblicato, in totale, dodici libri, prevalentemente saggi di linguistica e diversi articoli scientifici. I suoi temi di ricerca sono i seguenti: filologia romanza, psicolinguistica, linguistica digitale.

Ma che ruolo ha la parola nella vita degli esseri umani e quanto correttamente si insegna ad utilizzarla?

«La parola è, anzitutto, il tramite della relazione, dell’aggregazione e dell’esistenza. Lo è anche quando ci affidiamo all’artificio retorico e alla menzogna. In altri termini: quando tentiamo di usare la parola per negare la parola stessa, per prendere le distanze da qualcosa o da qualcuno, in realtà, stiamo generando altri legami, senza rendercene conto. Le parole che usiamo rappresentano il nostro mondo, lo mettono interamente a nudo perché l’uomo esiste unicamente in ciò che racconta di sé agli altri. La questione dell’insegnamento rinvia a un problema sistemico. Anzitutto, occorrerebbe liberare gli insegnanti dai carichi burocratici e concedere loro il tempo della ricerca: troppe griglie, troppi schemi, troppe riunioni et similia. In secondo luogo, il metodo, basato su modelli normativi rigidi e lontani dalla logica, rende, talora, la lingua un po’ arida e lontana dalle funzioni d’uso».

Il discorso include sia il linguaggio ricettivo che quello espressivo. Significa che ci sono due funzioni della parola: la ricezione e l’espressione. Quale importanza ha il discorso e come insegnare a discutere?

«In realtà, nessun parlante ha la percezione d’una qualche duplicità; e noi dovremmo cominciare a capire che la lingua è fatta dai parlanti, non già da come ipotizziamo che possano parlare. Diversamente, non avremmo avuto, per esempio, quel capolavoro dell’ingegno linguistico che il pidgin rappresenta. All’epoca della tratta degli schiavi destinati alle piantagioni di tabacco, cotone, caffè e zucchero, i proprietari, per evitare che si creassero pericolose coalizioni tra i lavoratori, escogitarono l’espediente di mescolare parlanti di lingue diverse. La qual cosa, però, non impedì affatto agli schiavi di instaurare delle relazioni linguistiche. Presto, infatti, ne nacque il Pidgin, un gergo con una grammatica essenziale e che prendeva in prestito la lingua dei colonizzatori. È chiaro, altresì, che, se studiamo il fenomeno da un punto di vista didattico, con riferimento a emittente e ricevente, possiamo parlare delle funzioni del linguaggio, degli atti linguistici et cetera. Potremmo citare di, conseguenza, Jakobson, Austin, Searle e tanti altri a documentare la natura del discorso e l’effetto sul nostro interlocutore, ma, dovendomi esprimere sulla funzione della parola, preferisco, in prima istanza, parlare dell’insieme linguistico e non delle definizioni di scuola».

Uno dei tanti motivi per cui viene evidenziata l’importanza della parola è che aiuta le persone a imparare. In che modo?

«Donald Hebb ha scritto che “neuroni che vengono attivati per la prima volta assieme tenderanno ad essere attivati insieme anche in seguito”; il che ci fa intuire immediatamente l’importanza della memoria. Forse, ci si sta disabituando un po’ a memorizzare i testi, in specie, le poesie, i paradigmi dei verbi latini, le radici dei verbi greci. Un tempo, era un dovere sacrosanto. La ripetizione, a un certo punto, è parsa una brutta cosa, come se, ripetendo, si escludesse il pensiero logico. Non è così. Infatti, l’altro punto su cui è bene riflettere è il seguente: la funzione logica della parola, cui ho fatto cenno in precedenza. Si parla molto di soggetto grammaticale, ma molto poco di soggetto psicologico. Non si parla affatto, nei licei e, in generale, nelle scuole superiori, della funzione degli enunciati, dell’aspetto e dell’azionalità dei verbi. Se si ampliasse un po’ il metodo, la parola sarebbe molto più utile all’apprendimento».

Quando gli esseri umani vivono in una società o in un paese diverso, l’unica cosa che li mette a proprio agio è quanto vanno d’accordo con le persone di quella cultura. Ciò può essere ottenuto imparando e usando la loro lingua per comunicare con loro. È così davvero?

«L’apprendimento della seconda lingua, in cui il nostro paese è vergognosamente deficitario, aiutare pure a pensare meglio: mi piace dirlo in questo modo crudo e scarno. Purtroppo, l’italiano medio è vittima di uno snobismo storico a causa del quale si continua a parlare del primato della nostra cultura, senza tenere mai in considerazione gl’indicatori socio-culturali degli organismi internazionali, che ci vedono molto indietro su troppe cose. L’avere avuto Dante e Leonardo non ci autorizza a vivere di rendita o a pensare che gli altri popoli siano da meno».

Si dice spesso che il modo in cui le persone parlano descrivono la loro educazione? Questo vale non solo per il linguaggio verbale ma anche per il linguaggio non verbale, cioè l’uso delle espressioni facciali, dei suoni, dei gesti, ecc. dice molto sulla persona. È davvero così?

«In parte, ciò è innegabile e inconfutabile. Però, è chiaro che non si può designare un meccanismo di causa ed effetto universalmente valido. Jakobson, nei Saggi di linguistica generale ci informa, per esempio, che quando ci rivolgiamo a un nuovo interlocutore, tendiamo a convergere su un vocabolario comune. Ferdinand de Saussure afferma, nel Corso di linguistica generale, che, in fatto di lingua, non possiamo inventare nulla, ma ereditiamo quasi tutto, mentre Berruto dimostra che lingua si evolve in diatopia, diamesia, diastratia e diafasia. Chiedo scusa per l’eccesso di citazioni, ma ci servono per comprendere che il contesto d’uso della parola è sempre fondamentale. In linea di massima, l’educazione umana e intellettuale è indubbiamente decisiva, ma non è tutto».

Le parole che si usano e il discorso che si fa, se osservato con attenzione, può dire molto sulla personalità e sull’umore di una persona. In che modo riflette la personalità?

«Qui, entriamo in un campo di studi un po’ diverso da quello della pretta linguistica. Possiamo dire questo: la nostra lingua è basata su un set finito di elementi; per contro, noi abbiamo una capacità innata di produrre infinite combinazioni. Da questo principio, di cui, in origine, s’è occupato ampiamente Chomsky, deriva la caratteristica della ricorsività. Ne faccio un esempio: (1) il cane è in giardino; (2) il cane è in giardino, sotto l’albero; (3) il cane è in giardino, sotto l’albero, vicino alla fontana. È evidente che potemmo andare avanti. Uno studio attento della ricorsività ci permetterebbe di individuare le ‘occorrenze’ mediante le quali il parlante caratterizza il proprio discorso. In una forma elementare e popolare, potremmo parlare di parole chiave. Nei casi di psicopatologia, le ‘ripetizioni’, per così dire, sono molto accentuante, il linguaggio spesso è disorganizzato e tangenziale. L’eloquio di una persona qualunque, cosiddetta sana, invece, ha delle specifiche marcature che possono essere messe in evidenza con uno studio attento».

Proprio come le parole possono riflettere la personalità di una persona, possono anche influenzare la personalità. L’uso costante di determinate parole può indurre la mente ad adottare modi di fare e di essere che riflettono quelle parole.

«‘Terribilmente’ vero, oltre che pericoloso. Finora, ho insistito molto su questo aspetto: memoria, ripetizione, ricorsività. Non possiamo fare a meno di accettarne anche il risvolto negativo. Se si desidera che un ‘concetto’ sia imposto all’attenzione della collettività, basta introdurlo in modo enfatico e far sì che sia sistematicamente ripetuto. Sono certo che al lettore basterà poco per averne contezza: “spread”, “lockdown”, “crisi” et similia; si tratta di parole che si sono trasformate ormai in veri e propri attivatori psicosemantici, come se avessero ormai una dimensione semantica propria e rigenerata. E sappiamo bene che l’uso frequente, quasi ossessivo, di queste parole ha indotto la mente ad adottare nuovi modi di fare e di essere».

Portare un cambiamento attraverso la parola non richiede sforzi fisici estremi ma la tenacia della mente. È così?

«Mi sia lecito, in questo caso, riproporre quanto ho affermato in precedenza con riguardo ai metodi d’insegnamento: con una piccola aggiunta: la risultanza d’ogni ricerca è l’esito d’immense fatiche. Tutti quei processi di fascinazione che sono spesso oggetto di grande propaganda sono delle sciocchezze inaccettabili. La scienza e la cultura non sono fatte di aforismi, di tramonti belli e suggestivi e di concorsi di poesia».

Consigli pratici per insegnare l’importanza della parola?

«I classici. Leggere e rileggere i classici. Null’altro da dire, in questo caso».

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