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La Shoah alla scuola primaria, il manuale che ci spiega come affrontarla. Ne parliamo con Matteo Corradini, ebraista e scrittore. INTERVISTA

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Gennaio è il mese della Memoria, del ricordo della Shoah, lo sterminio di milioni di ebrei, ed è importante ricordare, perché sia da monito a tutti affinché tragedie come questa non accadano più. Ne abbiamo parlato con il dottor Matteo Corradini, ebraista e scrittore, premio Anderson 2018, dal 2003 svolge ricerche sul ghetto di Terezìn recuperando storie, oggetti, strumenti musicali ed è tra i fondatori del Terezìn Composers Institut di Praga, autore del libro “Tu sei Memoria” edito dalla Erickson.

Dottor Corradini, la Shoah ha rappresentato la parte finale di un percorso che prevedeva lo sterminio del popolo ebraico, la soluzione finale. Lei parla di allargare lo sguardo per comprendere meglio questo tragitto fatto di odio, propaganda, violenza e politica razzista. Ci aiuta a capire meglio?

L’immaginario della Shoah, ai nostri occhi, è l’immaginario che ci hanno trasmesso tanti libri e film cinematografici fatto di campi di sterminio, filo spinato, muri di cemento, camere a gas e forni crematori. È un immaginario cupo fatto esclusivamente di angoscia e di grande violenza. L’immaginario della Shoah è questo e ci dobbiamo fare i conti, soprattutto quando abbiamo a che fare con i bambini ai quali vogliamo proporre un percorso sulla Memoria e con i quali vogliamo fare Memoria. Per tutti quelli che vogliono fare Memoria con bambini di una certa età, penso in particolare a quelli della primaria, si pone il problema di come raccontare questo genere di passato, che è un passato violento e angosciante, a bambini così piccoli, di 9-10 anni. Allargare lo sguardo ci libera e aiuta tutti noi, non solamente i ragazzini più piccoli, ad inquadrare la Shoah nell’ottica giusta, ovvero che la Shoah non è stato soltanto campo di sterminio, che rappresenta il termine violento e doloroso di un percorso che è stato compiuto dai nazisti, e dai fascisti in Italia. Se noi conosciamo questo percorso comprendiamo meglio le camere a gas, o meglio le inquadriamo all’interno di un percorso di violenza, comprendiamo meglio l’antisemitismo e soprattutto una buona parte di questo percorso riusciamo a percorrerlo anche con i bambini. Penso, ad esempio, alle questioni delle discriminazioni, del razzismo, dei ghetti, che sono tutte questioni che riusciamo ad affrontare anche con ragazzi più piccoli, con i quali non affronteremmo la questione dei campi di sterminio.

Il suo libro è un percorso di didattica della Memoria rivolto alla scuola primaria. Perché questa scelta di avviare un percorso così precoce rivolgendosi ai bambini?

Ci sono tanti insegnanti che con grande desiderio, passione e dedizione provano ogni anno a interpretare la parola Memoria, ma spesso mancano gli strumenti per provare a fare Memoria con delle linee guida didattiche, sensate e di approfondimento che li aiuti nel loro lavoro. Questo libro prova ad inserirsi lì, si colloca là dove c’è questo desiderio di non far passare il tema della memoria, ed in particolare il giorno della Memoria, senza che lasci un segno in noi e nei nostri ragazzi. L’idea è proprio questa, quella di costruire un manuale che sia in parte un saggio sulla didattica della Memoria, ma che proponga anche eventi, attività e pratiche. Sono proposte 20 attività che si possono realizzare all’interno della scuola primaria. Alcune di queste, adattate, possono funzionare anche nella scuola secondaria di primo grado, ma quello sarà magari il tema di un secondo volume.

Come è strutturato il percorso che lei propone?

Il percorso è strutturato in cinque fasi. La prima fase, che per certi versi considero molto importante e sicuramente necessaria, è costruita sulla cultura ebraica, che è poco conosciuta in Italia. Abbiamo delle lacune molto grandi per quello che riguarda l’identità ebraica, la cultura ebraica e la presenza degli Ebrei in Italia. Non conoscere la storia degli Ebrei in Italia credo sia piuttosto grave, perché significa non conoscere una parte importante della storia italiana. È piuttosto grave non conoscere la storia dei Maori, per capirci, ma i Maori non fanno parte della storia d’Italia, mentre gli Ebrei sono italiani, sono una parte importante dell’Italia e sono anche i nostri vicini di casa, non conoscerli credo sia davvero una mancanza. Non conoscerli quando si vuole fare un percorso della Memoria è una doppia mancanza, perché degli Ebrei, all’interno di un percorso sulla Shoah, spesso conosciamo soltanto la fine, una fine non decisa da loro, che non c’entra con il loro destino, una fine decisa da altri uomini. Quindi conoscere gli Ebrei significa intraprendere un piccolo percorso sulla cultura, sulle tradizioni, su alcuni aspetti della vita degli Ebrei in Italia, questo è il primo passaggio del libro. Dal secondo al quinto passaggio sono tutti dedicati cronologicamente a ciò che avvenne nella Shoah. Il secondo passaggio all’antisemitismo e ai pregiudizi, il terzo le prime deportazioni di Ebrei e l’età dei ghetti, ma anche i primi tentativi di salvezza degli Ebrei, i giusti tra le nazioni, i Kindertrasport. Il quarto passaggio è dedicato espressamente allo sterminio, ossia i campi di sterminio veri e propri. Il quinto passaggio è dedicato al dopo, come raccontiamo la Shoah, come incontriamo un testimone, come raccontiamo ciò che è avvenuto, come prepariamo il giorno della Memoria. Voglio segnalare che di tutti questi passaggi ci sono attività nel libro, ci sono proposte ben strutturate e spiegate, tranne che nel passaggio quattro. In questo passaggio non propongo attività perché credo sia un passaggio, quello dello sterminio, da affrontare successivamente, ovvero nella scuola secondaria di primo grado. Alla primaria questo è un passaggio al di fuori della sensibilità dei bambini, al di fuori della loro mentalità e della loro crescita media, e quindi credo sia un passaggio esclusivamente scioccante e lo shock non è educativo nella maggior parte dei casi, soprattutto in questo caso.

Da quello che ci ha appena detto possiamo fare una riflessione, ovvero che la soluzione finale, lo sterminio degli ebrei, è un qualcosa di pensato e voluto, che rappresenta l’atto finale di vari tentativi adoperati nel tempo per raggiungere questo obiettivo, come possono essere stati l’adozione dei gaswagen o l’idea di deportare gli ebrei in Madagascar. Se il tema dello sterminio è un tema da affrontare dalla scuola secondaria di primo grado in poi, altri argomenti come le leggi raziali, che hanno separato i bambini a scuola, possono essere adottati come punto di partenza per avviare il ragionamento su questo argomento. C’è un passaggio su questo aspetto?

Questo è un passaggio presente nel libro. Si lavora sia nella seconda che nella terza tappa su queste tematiche, ovvero la tematica del pregiudizio e della discriminazione, e c’è un’attività espressamente sulle leggi razziali. Le leggi raziali in Italia sono state tristemente importanti. Fare Memoria della Shoah non significa trovare dei colpevoli altrove, come a volte capita, e in Italia siamo piuttosto bravi in questo, ma è interrogarci anche sulla nostra responsabilità come italiani. Nessuno di noi era nato quando sono state redatte le leggi raziali, per cui non dobbiamo prenderci colpe del passato, ma ci possiamo prendere responsabilità sul passato, e di sicuro una responsabilità è quella di ricordare che il regime fascista non ha partecipato passivamente alla deportazione degli ebrei, ma è stato un attore principale dello sterminio di questo popolo.

L’antisemitismo è un retaggio che persiste soprattutto in determinati ambiti, come nel recente caso di un coro razzista intonato dalla tifoseria di una squadra di calcio della serie A. Perché, nonostante tutto quello che è successo e che si fa per ricordare, persiste questa mentalità?

Questa sua domanda, che è molto interessante e molto profonda, è stata approfondita da Valentina Pisanty in un saggio che si intitola “I guardiani della Memoria”, nel quale l’autrice si pone esattamente questa questione. Noi che ci impegniamo così tanto, tutto questo sforzo che è stato fatto negli ultimi 20/25 anni intorno al giorno della Memoria e a queste tematiche, ha prodotto qualcosa? Ossia ha limitato l’antisemitismo e ha “creato” una generazione di persone più consapevoli che l’antisemitismo è male? Il dubbio è questo, perché i casi di antisemitismo segnalati in Europa sono in aumento, non un aumento strepitoso, ossia non è una curva di crescita troppo vertiginosa, ma sono in aumento, e questo è preoccupante, anche in nome di tutto quello che è stato fatto. Si potrebbe dire che se non avessimo fatto nulla questi casi sarebbero in un aumento strepitoso. Il dubbio che viene da prosi è che non sarà che la sovraesposizione dei temi della Memoria generi in realtà repulsione, fastidio? Non potremo mai avere la controprova, dovremmo, per ipotesi, sperimentare 20 anni senza parlare mai di Shoah e vedere che cosa succede, ma non potremmo mai farla questa controprova. Dal mio punto di vista ciò che è stato fatto finora, pur nel manierismo di tante manifestazioni e nel pressapochismo di certe forme di Memoria, credo abbia contribuito a creare una consapevolezza diffusa. In questa consapevolezza diffusa naturalmente c’è spazio davvero per tutto, anche per le problematiche. Vedo positivamente lo sforzo che è stato fatto negli ultimi 20 anni, di sicuro i casi di antisemitismo ci pongono grandi problemi, grandi questioni e soprattutto ci chiedono di agire continuamente in un modo diverso dal punto di vista educativo, noi possiamo lavorare da quel punto. Si può lavorare anche dal punto di vista giudiziario, della sicurezza pubblica, che sono altri punti di vista ma nei quali personalmente non opero. Io opero nella divulgazione, nella consapevolezza e nella responsabilità, è uno sforzo che tentiamo di portare avanti anche con i tanti insegnanti.

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