Niente Rpd in busta paga, maestra precaria fa ricorso con Anief: il giudice le fa avere 2.374 euro

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La Retribuzione professionale docente va data a tutti gli insegnanti, anche ai precari nominati per pochi giorni: lo ha ribadito il Tribunale di Parma, sezione Lavoro, con sentenza emessa il 15 febbraio scorso, accogliendo il ricorso di una docente della scuola primaria che, attraverso i legali Anief, ha spiegato che durante gli anni scolastici 2020/21 e 2021/22 ha svolto “diverse supplenze temporanee con oneri e responsabilità certamente non inferiori a quelli dei docenti di ruolo e dei docenti precari con supplenze annuali in scadenza al 30 giugno o al 31 agosto”, senza tuttavia percepire “la retribuzione professionale docenti”. Il giudice ha esaminato il caso e alla fine ha condannato il Ministero a pagare 2.374 euro alla maestra, “oltre alla maggior somma tra rivalutazione monetaria ed interessi legali dal dovuto al saldo”.

Secondo il giudice del lavoro “deve escludersi che la ricorrente, supplente temporanea per gli anni scolastici 2020/2021 e 2021/2022, non abbia reso una prestazione equivalente a quella del lavoratore sostituito”. Determinante, ancora una volta, è stata “la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, il datore di lavoro, pubblico o privato, è tenuto ad assicurare agli assunti a tempo determinato i quali “non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”.

Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, ricorda che “escludere la Rpd dallo stipendio di un precario è una grave omissione dello Stato, frutto di una norma sbagliata che i Tribunali della Repubblica stanno superando ormai da tempo cons sentenze esemplari. Chi volesse recuperare tutta la Retribuzione professionale docente non assegnata erroneamente in busta paga, può quindi in rivolgersi all’Anief che valuterà di caso in caso se e come precedere per il ricorso”.

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LA SENTENZA DI PARMA

Il giudice ha citato più volte, nella sentenza, “la clausola 4 dell’Accordo quadro, come interpretata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea”, la quale “esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno”.

Per concludere, “il Tribunale di Parma – Sezione Lavoro, in perdona del Giudice, dott.ssa XXXXXXXX, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata, disattesa o assorbita ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede: 1) In accoglimento del ricorso, accerta e dichiara il diritto di XXXX XXXX a percepire la retribuzione professionale docenti prevista dall’art. 7 del CCNL 15.03.2001 in relazione al servizio non di ruolo prestato in favore del Ministero dell’Istruzione in forza dei contratti a tempo determinato sottoscritti negli anni scolastici 2020/2021 e 2021/2022 e, per l’effetto, condanna il Ministero dell’Istruzione a corrispondere a XXXX XXXX a tale titolo l’importo di Euro 2.374,56, oltre alla maggior somma tra rivalutazione monetaria ed interessi legali dal dovuto al saldo. 2) Condanna il Ministero dell’Istruzione a rifondere a XXXX XXXX le spese di lite, liquidate in Euro 1.300,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, da distrarsi a favore dei difensori dichiaratisi antistatari”.

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