La fiducia dei genitori? “Oggi te la devi conquistare”. “Docenti ad ottobre, scuole che chiudono, senza carta e pennarelli, perché in Tv non si parla di questo? ” INTERVISTA alla docente Giuliana Cau

WhatsApp
Telegram

Giuliana Cau insegna lettere in un liceo della provincia di Sassari. Proviene dalla scuola media e dal sostegno. E’ entrata in ruolo otto anni orsono, dopo sette di precariato. E pensando al precariato non può, la prof, non pensare alla precarizzazione crescente del lavoro e delle condizioni di vita cui sono destinati tanti giovani sardi, e dunque anche tanti suoi studenti, una volta diplomati. Il precariato scolastico, l’incertezza lavorativa e sociale cui andranno incontro tanti studenti, la crisi dell’istruzione, sono alcuni dei temi che la professoressa Cau vorrebbe fossero affrontati, assieme a tantissimi altri, in trasmissioni televisive di intrattenimento culturale e di approfondimento. E invece? E invece quelle poche volte in cui si parla di scuola si parla delle solite questioni che fanno audience, il pestaggio di un docente, la marachella di qualche alunno, la bidella pendolare, la mamma che, infine, inveisce su Tik Tok contro l’eccesso di compiti assegnati ai piccoli alunni della primaria. E a parlare in quelle occasioni – e questa è un’altra contestazione diffusa – sono chiamate spesso persone che non conoscono la scuola: “Ma quand’è che si intervisterà un docente, quando? – lamenta la professoressa Cau – Tutti hanno il diritto di replica e intervento, tranne la parte chiamata in causa. Allucinante”.

Professoressa Giuliana Cau, di cosa vorrebbe che si parlasse nei programmi televisivi quando si dovessero occupare di scuola?

“Mi piacerebbe che si parlasse della povertà dal punto di vista delle cose minime. Tanto per dire, non so in altre regioni, ma qui in Sardegna non abbiamo la carta, i pennarelli, non si fa altro che chiudere gli istituti, ora perché c’è l’amianto, ora per altre ragioni. Poi penso agli insegnanti che ogni anno arrivano a scuola in ottobre inoltrato. Insomma, vorrei che si parlasse di scuola in maniera costruttiva e non ogni tanto quando qualcuno viene aggredito. Vorrei che si parlasse di questo e non di altre cose. Abbiamo avuto come ministra una preside e capisco che all’epoca c’era la pandemia, ma per quanto mi riguarda la situazione è peggiorata, a governare e a incidere sulla scuola ci sono persone che le scuole le hanno viste da studenti. Ma io mi chiedo: perché non affidarsi a equipe di esperti che siano arrivati dalla scuola? Le scuole non sono delle università, i nostri studenti non sono gli stessi”

L’ultimo spunto è stato il caso della mamma di Palermo querelata da un gruppo di docenti perché ha inveito in maniera scurrile su Tik Tok contro i docenti colpevoli di assegnare troppi compiti domestici ai bambini

“Io contesto questo genere di situazioni che alla fine servono per costruirci sopra dei casi mediatici. Questa signora è stata ospitata da Barbara D’Urso nel suo programma televisivo. E’ un luogo giusto, quello, per parlare di scuola? Nei programmi culturali e di approfondimento i docenti non vengono mai invitati per discutere dei problemi della scuola. Mi ha infastidito questo e i toni che ha usato. Quando i maestri e i dirigenti scolastici sono stati vittime delle aggressioni non ho mai visto programmi dove siano stati ospitati loro per esprimere le loro reazioni. Quanto ai compiti non vedo tutto questo sovraccarico, anche se non posso sindacare sulle singole proteste. Io da alunna avevo una versione di latino e di greco al giorno e sono d’accordo che non fosse la cosa più utile per noi”.

Certo che anche ora i compiti burocratici non mancano…

“Io ho insegnato per dieci anni in una scuola media, ora lavoro in un liceo scientifico, sto ripetendo un anno di prova per il passaggio di cattedra. Si dice sempre che non siamo competenti, ma santa pazienza occorrerebbe che l’anno di prova fosse più semplificato: rifare sempre lo stesso percorso non è che sia utilissimo. Si fanno in merito tanti discorsi validissimi ma mi sarebbe piaciuta una cosa più snella e più mirata”.

Che cosa insegna?

“Insegno Lettere e sostegno. Ero sul sostegno e mi piaceva molto, è un mestiere meraviglioso, ma non facevo altro che coprire in continuazione i docenti assenti e senza manco essere avvisata in anticipo dell’assenza del collega. In questo modo si mette da parte l’inclusione, per sostituire i colleghi malati”.

Ma non è illegittimo?

“Il fatto è che ci si appella sempre al nostro buon cuore. Occorre invece assumere docenti, le scuole devono essere dotate di personale aggiuntivo e soprattutto fare in modo che il docente di sostegno svolga le sue funzioni: è il minimo sindacale e purtroppo tante volte non si ottiene neanche questo. Alla fine, sebbene mi sia battuta negli anni, a un certo punto mi son detta: vado a insegnare la materia. Eppure è una professione importante. Occorre sfruttare al massimo quando è possibile il docente di sostegno cercando di non tenerlo in un angolino ma facendo insieme lezione. Ci sono dei momenti in cui il docente di sostegno si deve ritagliare degli spazi per preparare degli argomenti. I risultati si vedono se si lavora insieme con il docente di sostegno in sinergia, è l’unico modo per far funzionare questo strumento altrimenti non serve a nulla. Farebbe bene a tutti, ai docenti curriculari, a loro, ai ragazzi”.

Torniamo al caso della mamma querelata dai docenti

“Sicuramente avrà avuto delle ragioni per sbottare in quel modo. Sono sicura che le cose che ha detto a propria giustificazione non fossero bugie ma non sono quelli i modi di esprimersi. Si batte molto sul chiodo che si debba mantenere la calma, sarebbe bene dunque che un video su Tik Tok non ci fossero certe imprecazioni. Si chiede ai docenti di avere un certo contegno, allora vorrei che anche i genitori tenessero il giusto contegno specie in presenza di bambini, i propri bambini: non si deve esplodere di fronte ai bambini, il fatto è che questi modi sono figli dei tempi che stiamo vivendo. Tuttavia non deve nemmeno passare il messaggio che i docenti debbano essere delle vittime di aggressione come succede sempre più spesso con infermieri e medici. Dobbiamo iniziare dai nostri figli educandoli alla non violenza. Comunque, io non sarei stata per la querela: non amo questo genere di procedure. Sono cause infinite. Io sono una persona che vuole stare serena, ho sempre cercato di mediare i conflitti tra i miei colleghi. Certo è che l’avrei convocata a scuola e le avrei detto in maniera civile che quell’atteggiamento non va bene. Io stessa sono stata vittima di aggressioni verbali ma non ho mai minacciato nessuno di querele perché non serve a nulla”.

Evidentemente la querela è stata presentata per mandare un segnale a tutte le famiglie

“Non è sbagliato pensare che sia stata fatta per far smettere questi atteggiamenti. Io non ho la risposta, mi limito a pensare che con il buon esempio si possano risolvere le cose anche se spesso non basta”.

La pandemia ha contribuito ad esarcerbare gli animi

“E’ vero. Tutti abbiamo pagato un prezzo. Mia madre è morta prima del tempo, ha perso tutti gli stimoli a causa delle restrizioni. Non è con la rabbia che si risolvono le questioni. Con i genitori io parto dal presupposto che bisogna dialogare. Ad esempio io mi rivolgo a loro e dico: mi dica tutto quello che vuole. Il genitore in questo modo non parte dal presupposto che noi vogliamo imporre la nostra ragione. Io chiedo: come vede il suo ragazzo a casa? e poi ci riallacciamo al contesto scolastico. E’ una buona strategia, laddove c’è un genitore intelligente. Se invece si arriva a scuola con una spranga allora c’è poco da fare”.

Ma lei la vede questa guerra tra genitori e docenti?

“In parte sì, perché c’è molta diffidenza”.

Quali sono le ragioni di questa diffidenza, secondo lei?

“Rispetto a quando ero studentessa, ora come insegnante la fiducia te la devi conquistare. Allora la parola del docente era sacra anche quando il docente aveva torto: e questo non era certo giusto. Ma il fatto è che non partiamo più con quella fiducia innata che i genitori avevano nei confronti dell’insegnante. Era una fiducia per così dire… post fascista o stalinista. Oggi secondo me i genitori risentono molto di quella repressione che hanno dovuto subire in passato e allora, tu docente, la fiducia te la devi conquistare”.

Tutto questo richiede una maggiore professionalità da parte dei docenti

“L’importante è essere sereni, tanto questo è un lavoro che s’impara svolgendolo. Può essere stravolto come vuoi con la formazione però intanto quello che sai fare dipende da quello che fai ogni giorno, da quello che impari lavorando. Dunque si deve andare sereni e se si sbaglia ci si corregge, poiché nessuno è perfetto: lo devono ammettere tutti, gli insegnanti e i genitori. Se si fa gruppo, si migliora tutti insieme”.

Lei ha toccato il tema della formazione continua degli insegnanti, un tema sensibile. Non sempre si è d’accordo con l’obbligo di aggiornarsi. Lei come la vede su questo fronte?

“Io sono favorevole. Non a una formazione ossessiva, certo. Ma ritengo che almeno un paio di corsi formativi all’anno devono essere fatti. Ciò che contesto è semmai che i corsi siano svolti da persone che non conoscono la scuola. I formatori spesso non arrivano dal mondo della scuola ma piuttosto da quello accademico, e spesso sono addirittura estranei al mondo dell’istruzione. Sui libri si può imparare tanto ma quello che s’impara dal mondo esperienziale è molto di più. Tanto per dire, quando è nata mia figlia avevo fatto il corso preparto, poi al momento del parto ti rendi conto che quando si diventa mamma è tutta un’altra cosa”.

La scuola sta attraversando un periodo di transizione verso il digitale. E’ un’opportunità o un problema, secondo lei?

“Il digitale non è una cattiva idea. Le classroom le stiamo utilizzando, spesso abbiamo ragazzi privi di materiale e dunque si rivela importante avere degli strumenti come questo, ma anche programmi come Kahoot sono interessanti. Prima usavo il power-point, in educazione civica si fanno cose meravigliose, e penso alle poesie lette da Gassman, che ascoltiamo in classe. Il supporto multimediale è importante, non si può tornare indietro, l’importante è usare con intelligenza un po’ tutto quello che abbiamo a disposizione poiché tutto serve per allargare le competenze. Diciamo che occorrerebbe semmai educare all’uso responsabile della rete. L’altro giorno un ragazzo aveva 450 messaggi su Telegram. Che dire? Ci vorrebbe una maggiore responsabilizzazione, sono diventati dipendenti. La dipendenza alle superiori è il motivo di maggiore distrazione e anche di disagio”.

Lei cosa dice loro in queste occasioni?

“Dico che se potessi evitare di riprenderti perché guardi un video, sarebbe meglio. Alla loro età non vedevamo l’ora di uscire a prendere un po’ d’aria, per loro invece lo svago è quello. E questo mi preoccupa molto”.

Quali prospettive hanno i diplomati in Sardegna?

“Nel nostro territorio sono quelle che sono. Restano dei lavori che non vuol fare nessuno poiché non attraggono per vari fattori, come quelli legati ad agricoltura e allevamento, devono essere proprio appassionati ma le prospettive sono pessime. Forse ci sono delle prospettive nel turismo. Peraltro vedo che anche nel resto d’Italia le vacche grasse non ci sono più. Se vuoi fare il medico, un posto si trova. Ma non tutti sono portati per questa professione. Ci sono infine i posti nell’insegnamento perché da anni qui siamo sottorganico. Per il resto vedo tanta precarizzazione del lavoro, con tutto quel che ne consegue, come la difficoltà a ottenere un mutuo”.

Torniamo ai compiti. Ne ha lasciati molti per le vacanze di Pasqua?

“Non tanti, poca roba”.

WhatsApp
Telegram

Abilitazione all’insegnamento 30 CFU. Corsi Abilitanti online attivi! Università Dante Alighieri