Dichiara falso in graduatoria ATA: falso in atto pubblico e truffa. Deve restituire parte dello stipendio

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Con atto di citazione la Procura ha chiamato in giudizio un bidello, chiedendone la condanna al risarcimento del danno in favore del Ministero o, in alternativa, dei singoli istituti scolastici interessati dalla vicenda, nella misura di poco più 3 mila euro. Il caso in commento riguarda una sentenza della Corte dei Conti per la Toscana, n° 51/23.

La vicenda
La Procura contestava al collaboratore scolastico di aver reso false attestazioni nell’ambito della sua partecipazione al bando triennale per il conferimento delle supplenze del personale A.T.A. di terza fascia (collaboratori scolastici, assistenti amministrativi e assistenti tecnici) di cui al D.M. n. 640 del 30 agosto 2017, valido per il triennio scolastico 2018-2021. Nello specifico, il lavoratore in questione, in occasione della presentazione  della domanda di inserimento nella graduatoria di tale provincia, “avrebbe autocertificato, con dichiarazione sostitutiva oltre al possesso di alcuni titoli di studio, anche l’esistenza di titoli di servizio poi risultati non veritieri. Ed invero, le esperienze lavorative dichiarate, ovvero i servizi asseritamente prestati in qualità di collaboratore scolastico presso una scuola si sarebbero invece palesemente rivelate mai maturate all’esito delle attività di riscontro compiute dalla Guardia di Finanza”. Si legge ancora che in ragione dei titoli complessivamente dichiarati dall’odierno convenuto, il Dirigente del menzionato istituto, all’uopo competente in quanto ricevente la relativa domanda di partecipazione alla procedura in argomento, provvedeva quindi ad riconoscere al medesimo il punteggio maturato posto nella graduatoria per il profilo di collaboratore scolastico, posizione questa che valse al convenuto l’assunzione per la supplenza temporanea. Sennonché, si conclude, lo stesso Dirigente scolastico, in chiusura delle verifiche autonomamente operate sui dati dichiarati all’atto della domanda di inserimento nella graduatoria in questione, accertava l’insussistenza e, quindi, la falsità di tutti i titoli di servizio certificati dall’odierno convenuto. Di conseguenza, provvedeva anzitutto a rettificare il punteggio attribuito al medesimo, riducendolo e poi a risolvere il contratto individuale di lavoro.

Dichiarare il falso in graduatoria a quali conseguenze può esporre?
Il lavoratore in questione è stato sottoposto a delle indagini che avevano condotto a rilevare la non veridicità dei titoli di servizio dichiarati e si formulava richiesta di rinvio a giudizio con imputazione dei delitti di cui all’art. 483 del codice penale (Falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico) e all’art. 640 cpv. c.p., n. 1 (Truffa aggravata a danno dello Stato o di ente pubblico). Il procedimento si trovava in stato di sospensione.

La linea difensiva
La difesa osservava che, in base alla formulazione del bando relativo alla procedura in argomento, i titoli di servizio dichiarati dal convenuto, la cui falsità è in discussione, in ogni caso non costituivano un elemento necessario ed imprescindibile per poter essere ammessi nelle graduatorie provinciali, come invece era da considerare il possesso dei titoli di studio richiesti nel bando, bensì valevano soltanto ad incrementare il punteggio e la posizione nelle stesse. Pertanto, poiché risultava acclarato che il convenuto potesse vantare i requisiti (di studio) per essere inserito nelle graduatorie in questione, e visto che la prestazione lavorativa effettivamente svolta dal medesimo ed oggetto della contestazione doveva considerarsi avvenuta in maniera soddisfacente ed apprezzata stante l’assenza a suo carico di provvedimenti disciplinari o richiami di alcun genere, la difesa riteneva che il convenuto avesse diritto alla retribuzione e ai contributi previdenziali ed assistenziali ai sensi dell’art. 36 della Costituzione, in quanto lecitamente corrisposti a titolo di compenso per un’attività di fatto svolta regolarmente e correttamente.

Va restituito lo stipendio percepito avendo svolto l’incarico senza il titolo prescritto?
La giurisprudenza è orientata nel sostenere che l’erogazione, da parte della Pubblica Amministrazione, di emolumenti in favore di soggetti che abbiano svolto, per la stessa, un’attività senza il possesso del titolo di servizio richiesto, costituisce danno erariale atteso che alla retribuzione percepita non corrisponde una prestazione adeguatamente commisurata e qualitativamente corrispondente alla professionalità richiesta. Nel caso di specie il lavoratore ha restituito spontaneamente il 50% dello stipendio contestato, essendo in parte state accettate le difese ed il caso alla Corte dei Conti si è così chiuso.

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