Genitori inviano lettera via PEC a Dirigente e Ministro lamentandosi del lavoro di un docente. È diffamazione? Missiva finisce in tribunale

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I genitori che, attraverso una missiva, rappresentano alla DS e al Ministro dell’Istruzione fatti posti in essere da una docente e ritenuti vessatori verso il figlio affetto da disturbi dell’apprendimento, esercitano il proprio diritto di critica. Pertanto, non è rinvenibile la condotta di diffamazione se la missiva è comunicata in via riservata. Lo ha chiarito la V Sezione Penale della Corte di Cassazione (sentenza n. 18056 del 02 maggio 2023).

La condanna per diffamazione

I genitori di un alunno con DSA erano stati condannati in primo e in secondo grado alla pena di euro 300 di multa ciascuno in quanto avevano inviato una missiva affermando, con riferimento alla docente di inglese del proprio figlio, che tutti gli errori compiuti dalla stessa professoressa “non sono da ritenersi frutto di disattenzione e negligenza quanto piuttosto di volontà manifesta di danneggiare il nostro figlio”, aggiungendo che la docente, unitamente ad altri, si era da sempre contraddistinta per una condotta fortemente vessatoria nei confronti del ragazzo.

L’invio della missiva a DS e Ministro

La missiva conteneva un formale reclamo alla valutazione della verifica scritta della prova di inglese sostenuta dal figlio, ed era stata inviata via pec alla Dirigente Scolastica, nonché al Ministro per l’Istruzione in via riservata, in quanto soggetti istituzionalmente e normativamente preposti alla verifica della corretta applicazione della normativa a tutela dei soggetti DSA.

Diffamazione perché accessibile a terzi secondo la Corte d’Appello

La Corte d’appello, tuttavia, aveva ritenuto che la natura “riservata” della missiva non fosse idonea a escluderne la diffusività del contenuto, non potendosi escludere la potenziale accessibilità a terzi soggetti diversi dal destinatario, confermando in tal modo il profilo diffamatorio della condotta posta in essere dai due genitori.

Le difese dei genitori

Per i genitori il reclamo inviato, nel suo tenore complessivo, era volto a ottenere un intervento da parte dei soggetti, a ciò istituzionalmente preposti, a tutela del diritto allo studio del figlio, all’epoca dei fatti minorenne e soggetto DSA (con presenza congiunta di discalculia, dislessia, disortografia e disgrafia) a fronte delle violazioni poste in essere dalla docente di inglese della normativa a tutela dei DSA. La docente, secondo i genitori, aveva violato la normativa sia in relazione alle modalità di svolgimento delle verifiche scritte, impedendo all’alunno di impiegare il materiale compensativo e le misure dispensative, sia in relazione alle modalità di valutazione, omettendo di redigere scheda valutativa. Nel corso dell’istruttoria dibattimentale i genitori avevano peraltro depositato l’ordinanza cautelare del Tar che aveva disposto, in favore del figlio, divenuto nel frattempo maggiorenne, la redazione di un Piano Didattico personalizzato, con l’adozione di strumenti compensativi didattici e di misure dispensative in sede di verifica. Tali circostanze, insieme alle prove delle omissioni della scuola sulla redazione del piano personalizzato, della trasmissione alla scuola di una certificazione per la lingua inglese, con relativa richiesta di dispensa dalla valutazione della propria prova scritta di lingua inglese, ma non dallo svolgimento della medesima, per non emarginare l’alunno dalla classe, ignorata dalla docente quando aveva impedito all’alunno di svolgere la prova scritta di inglese, avrebbero dovuto condurre all’esclusione della valenza offensiva di quanto contenuto nella missiva.

Per la Cassazione c’è diritto di critica non diffamazione

I genitori adiscono la Corte di Cassazione, la quale, tuttavia, non ha ritenuto sussistente il carattere diffamatorio della condotta e, quindi, ne ha negato qualsiasi rilievo penale. Per la Cassazione le espressioni inserite, nella medesima lettera inviata alla Dirigente e al Ministero dell’Istruzione, possono anche integrare “asprezze ed esagerazioni”, tuttavia, collocate nel più ampio contesto comunicativo del quale sono state parte, che per la Corte “consente di intenderle nel giusto valore”, rientrano nel cono d’ombra della scriminante del diritto di critica, referito rispetto a valori e interessi, quali il diritto all’istruzione e il diritto alla salute, che i genitori ragionevolmente temevano potevano potessero essere messi a repentaglio dalle condotte e dalle condizioni del giovane alunno, risultate peggiorate a seguito del comportamento della docente.

La revoca delle pene a carico dei genitori

Pertanto, la Cassazione ha dichiarato che il fatto, ascritto ai genitori, non costituisce reato, con conseguente revoca della pena inflitta.

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